A scuola per riconoscere le parole dell’odio sul web. Ed evitarle
Sono tante le trappole che si nascondono in Rete. Un manuale destinato agli studenti degli istituti italiani indica come individuarle, perché le discriminazioni e la violenza non dilaghino nel mondo virtuale e in quello reale. Di Amalia Matteucci dal sito de la Repubblica dell’1 aprile 2016
LE PAROLE hanno un peso e in Rete possono diventare macigni. Usare i termini giusti e rispettare le regole che disciplinano il vivere civile, soprattutto su Internet, è fondamentale per evitare che espressioni usate con leggerezza, anche senza lo scopo di ferire gli altri, creino danni imprevedibili.
“L’odio é fonte di energia negativa, nella società e nella politica. Basta leggere 1984 di Orwell per capire quanto un minuto dedicato all’odio possa incanalare quella energia verso azioni violente e manifestazioni discriminatorie. Per questo è importante che parta dalle scuole l’educazione alla reazione al discorso dell’odio”. Michele Nicoletti, capogruppo Pd al Consiglio D’Europa, illustra lo spirito che ha ispirato la realizzazione di un manuale destinato agli studenti italiani.
Per aiutare i giovani a comprendere i pericoli che si nascondono dietro offese e insulti, il Consiglio d’Europa ha lavorato dal 2012 a No Hate Speach, un progetto di educazione destinato a loro, con la creazione di un manuale che sarà presentato alla Camera dei deputati il 4 aprile in occasione della Giornata internazionale ONU contro le discriminazioni. Il volume, di cui è relatrice Milena Santerini, parlamentare e docente di pedagogia, con una serie di schede e grafici, illustra agli studenti quali sono le regole che vanno seguite, perché il diritto di esprimere la propria idea sul web non diventi un mezzo per offendere o discriminare gli altri.
Pericoli sul web. Su Internet i giovani si incontrano e si conoscono più spesso ed è lì che è facile fraintendere o generare offese e discriminazioni anche involontariamente. Per questo la maggior parte del volume è dedicata alle conseguenze che può generare il discorso dell’odio in uno spazio potenzialmente infinito e tendenzialmente con regole fluide come Internet. Protetti dallo schermo di un computer o di uno smartphone, spesso ci si illude di essere in qualche modo al sicuro, non solo quando si esprimono pareri negativi o offensivi verso singoli o gruppi, ma anche quando si pubblicano dati relativi a se stessi. Ma non è così: la violenza verbale degli altri è molto più vicina di quanto non si pensi. Passare da uno sfogo online all’aggressione fisica non è sempre scontato, si sottolinea nel libro, ma spesso è proprio da una discriminazione virtuale che nascono episodi di emarginazione e odio nel mondo reale.
Una guida nella giungla della Rete. Il faro che dovrebbe illuminare qualsiasi comportamento umano, reale o virtuale che sia, è il rispetto dei diritti dell’altro. E ad arginare fenomeni d’odio non sono sufficienti le leggi predisposte da ogni Paese a tutela dei cittadini. Se già nella vita di tutti i giorni, infatti, non è sufficiente applicare le norme, per quanto capillari possano essere, in Rete il problema si moltiplica e si scontra con un diritto tanto forte come può essere quello di libertà di espressione. Bilanciare gli interessi e i diritti, commisurare le azioni e le reazioni e mettere in atto comportamenti virtuosi, sono alla base dell’educazione nella lotta al discorso dell’odio.
Non solo spettatori. Ai ragazzi, principali destinatari del volume, ma non gli unici, dal momento che nell’azione di prevenzione sono chiamati a contribuire anche docenti e genitori, viene chiesto di non essere passivi di fronte a episodi di odio e discriminazione sul web. Perché la Rete è una grande comunità e come tale si comporta anche quando deve fronteggiare i pericoli. Valutare le espressioni usate e la relativa gravità, individuare le vittime e verificare l’intenzione delle parole usate sono il primo passo per agire contro la violenza.
Il buon esempio. Ma non basta. Per evitare che il seme dell’odio si diffonda, tutti possono fare qualcosa e il mezzo è lo stesso: la Rete. Così un blog può diventare un mezzo di denuncia, un luogo di aggregazione e di sostegno per le vittime. Chiedere chiarimenti sulle motivazioni e realizzare un dibattito che metta a confronto le idee può aiutare ad abbattere i pregiudizi.
Le leggi, quelle che sono alla base del vivere civile, sono il punto di partenza, l’educazione, il confronto e l’autoregolamentazione, possono fare la differenza.