Quale Umanesimo nell’era dell’Intelligenza Artificiale?

«Come Aiart cerchiamo di recuperare la nostra umanità che deve necessariamente ridefinirsi»: una premessa per richiamare la mission dell’associazione di ispirazione cattolica che ha promosso l’incontro. Ci tiene a farla, Lorenzo Lattanzi, invitato dal piccolo nucleo dell’Aiart presente a Rieti ad animare la riflessione rivolta a insegnanti, educatori, genitori sul tema “Quale Umanesimo nell’era dell’Intelligenza Artificiale?”. Associazione di cittadini mediali consapevoli che dinanzi alle nuove tecnologie affermano l’esigenza di mantenere ferma l’identità dell’umano che ne saprà sempre una in più delle macchine.
Era già venuto a Rieti qualche anno fa il dinamico maestro elementare di Macerata che dell’Aiart è presidente regionale nelle Marche e vice presidente nazionale, coinvolgendo l’uditorio riguardo un saggio confronto con i tanti nuovi ritrovati che costituiscono una sfida per chi educa le giovani generazioni. Stavolta l’incontro – apertosi con il saluto della presidente dell’Aiart reatina, Gianna Serani, e della dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo “Alda Merini”, Irene De Marco, che ha collaborato nell’organizzare l’iniziativa – punta a riflettere su come le novità in veloce evoluzione quali l’Intelligenza artificiale (in realtà non proprio una novità, dato che esiste da diversi anni, ma ora resa più disponibile su larga scala) interpellino l’umano. «Una volta parlavamo di internet come medium, poi di internet (soprattutto i social) come ambiente. Oggi dobbiamo considerare internet come un’esperienza che tocca tutte le sfere del vivere umano. E per questo ogni cambiamento e innovazione va a incidere sulle relazioni e sulla percezione di noi stessi e degli altri».
Al pubblico radunato nell’aula magna dell’istituto di “Ragioneria” in viale Maraini Lattanzi rivolge l’invito a porsi responsabilmente verso il pianeta mediale sempre più articolato e ricco di risorse ma anche di rischi: «Occorre cominciare a domandarci non tanto quello che possono fare i mezzi ma quello che possiamo fare noi qui e adesso. Innanzitutto darci una consapevolezza diversa di come vivere il contesto mediatico attuale». Senza mai dimenticare che con i nuovi mezzi aumenta il rischio di spettacolarizzazione, privilegiando la forma a discapito del contenuto e puntando a una visione parziale a discapito della complessità. A ciascuno, a tal proposito, è necessaria la saggezza e l’umiltà di riconoscere il limite della propria visione individuale, «senza avere la pretesa di vendere la propria percezione come l’unica, ma anzi ringraziando l’altro di quello che ci offre». Del resto «la complessità richiede fatica e ci troviamo di fronte a un mondo che preferisce procedere per semplificazioni, con le quali si prendono (o si perdono) i voti, non si risolve nulla, però si è “compresi”, si ha audience».
L’affrontare la complessità è proprio quello in cui si deve giocare l’umanesimo, afferma il relatore, citando un aforisma del sociologo britannico Gregory Bateson: «Se dai un calcio a una palla da biliardo su un pavimento perfettamente liscio sai benissimo come va a finire. Ma se invece dai un calcio a un cane, non sai affatto come va a finire». Il significato, spiega Lattanzi, è che «ci sono cose che sono prevedibili, e lì l’IA ci sostituirà. Ma cose imprevedibili non potranno essere affidate alle macchine. In un sistema semplice IA potrà operare, in un sistema complesso no». Del resto, «la verità è data dalla composizione delle diverse posizioni. Dobbiamo avere l’umiltà, anche da credenti, di non possedere la verità: è la verità che possiede noi».
In tutto ciò, ecco le implicazioni di tipo etico: «Dobbiamo riflettere sull’etica della tecnologia e anche nella tecnologia: se ci sarà un’eticità relativa al contenuto prodotto dall’IA ma anche sul tipo di utilizzo che si farà dell’IA», come il Papa scriveva già nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno (già esso dedicato all’IA, prima di quello per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali): i sistemi di IA, avvisava Francesco, «possono essere strumenti di “inquinamento cognitivo”, di alterazione della realta tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere».
Se l’IA offre scenari incredibilmente positivi – dall’agricoltura, alla capacità di consumo energetico responsabile, agli eccezionali ritrovati in campo medico, diagnostico e terapeutico – non mancano problemi (si pensi al campo dell’editoria e dell’informazione, che sarà chiamato a ridefinirsi). Va ricordato che IA «non è vera intelligenza, in quanto non ha doti di comprensione, coscienza, emotività, intuito, consapevolezza», doti che ha solo l’essere umano. E che va governata in modo saggio e prudente, soprattutto coi bambini (e qui l’Aiart ha in campo proposte di specifiche campagne per le famiglie). Una consegna conclusiva: «Se non insegniamo già dalla più tenera età ai bambini non solo l’importanza delle domande, ma l’importanza di capire che certe domande non hanno una risposta sicura né affidabile, non saremo capaci di affrontare l’IA perché quella le risposte le ha sempre e le dà per certe». Per questo non dimentichiamo mai di «esercitare il dubbio».

Nazareno Boncompagni

(da «Lazio Sette» supplemento domenicale di «Avvenire», pagina di Rieti, 19 maggio 2024)