Prigionieri complici dei colossi del web

Il paradosso è che siamo stati noi ad avergli indicato la strada migliore per «acciuffarci». A furia di studiare nei minimi dettagli i nostri comportamenti «online», gli abbiamo svelato tutti i nostri punti deboli. Il più debole dei quali è la pigrizia. di Gigio Rancilio dal sito di Avvenire del 22/01/2016

Prima o poi dovremo ammetterlo: siamo prigionieri. Le nostre vite digitali sono prigioniere. Fateci caso: non c’è giorno che colossi come Facebook, Google o Twitter non annuncino una novità. Se le mettete in fila, il quadro appare piurttosto chiaro. Ogni colosso del web punta a farci sempre più «prigionieri». A farci rimanere il più possibile chiusi nei loro recinti digitali. Ognuno di loro vuole una fetta sempre più grande del nostro tempo. Perché il tempo (e i dati) sono una delle monete più preziose nel mondo digitale.

Il paradosso è che siamo stati (e siamo) noi ad avergli indicato (e a indicargli) la strada migliore per «acciuffarci». A furia di studiare nei minimi dettagli i nostri comportamenti «online», gli abbiamo svelato tutti i nostri punti deboli. Il più debole dei quali è la pigrizia.

Già: noi che frequentando social e web ci sentiamo più avanti, più «veloci» e più informati degli altri, siamo in realtà abitudinari e pigri come tutti. Dopo una prima spinta iniziale di curiosità, tendiamo infatti a «dialogare» sui social solo con persone e realtà che ci assomigliano. E chi si avventura nel territorio «nemico», nella maggior parte dei casi non lo fa perché cerca il confronto ma lo scontro. Per sfogarsi, non per capire.

Non solo. Sui social tendiamo sempre più a mettere «mi piace» a contenuti che non abbiamo magari nemmeno letto e in alcuni casi nemmeno capito (una ricerca sostiene che ciò accade per il 45% degli utenti social). Per non parlare dei tanti che condividono post con notizie false e che, quando un amico glielo fa notare, commentano: beh, pazienza.

Tutta colpa della nostra pigrizia. Vogliamo essere sociali, ma siccome è faticoso esserlo davvero in parte camuffiamo i nostri sforzi con azioni, diciamo così, «meccaniche». Per esempio: se molti dei miei amici digitali mettono un «mi piace» ad un post, lo faccio anch’io. E via di questo passo. I colossi del web sanno benissimo chi siamo e come ci comportiamo. E puntano a offrirci tutto – notizie più veloci, video più veloci, servizi e giochi sempre più evoluti e su misura– a patto che restiamo tra le loro mura digitali. Ieri Facebook ha lanciato un nuovo servizio denominato Sports Stadium, «un luogo dove in un unico spazio le persone possono trovare in tempo reale risultati, statistiche e commenti dei propri contatti su un determinato sport, atleta o squadra». Difficile dire se sarà l’inizio della fine dei giornali e dei servizi sportivi, ma è un colpo non da poco.

Anche Twitter che ha fatto della velocità e dello scambio tra persone la sua cifra, sta alzando muri per farci rimanere nei suoi confini. Via i 140 caratteri e spazio a contributi più lunghi, così da aumentare il nostro tempo di permanenza nel servizio e togliere progressivamente forza ai contenuti esterni «linkati» dagli utenti. Google dal canto suo sta lavorando a un sistema per permetterci di pubblicare direttamente dalle nostre mail alcuni contenuti su Facebook. Noi faremo «meno fatica» a socializzare (siamo pigri, no?) e in cambio Google si prenderà un altro pezzo del nostro tempo e un po’ più di controllo sulle nostre vite digitali.

La partita è gigantesca e impari. Ma noi non siamo solo vittime. Siamo (con le nostre scelte, ogni nostra scelta digitale) «complici». Dobbiamo imparare a scegliere di più. A essere meno pigri.