Narrazioni social-mediali: tante facce della violenza
Non รจ possibile rimanere indifferenti rispetto ai fatti, ma soprattutto alle narrazioni di queste giornate. E neppure lasciar scorrere senza interrogarsi leggendo i titoli di alcune testate:
PEGGIO MORTI CHE BENDATI (cosa si vuol far passareโฆ); – Un killer di Roma interrogato bendato. CHE PESSIMA FIGURA (la figura รจ l’aspetto esteriore di una cosa o di una situazione: la preoccupazione รจ per il modo di apparire. Ma non รจ questo il punto); LA VERGOGNA E IL DOLORE (qui si antepone la vergogna al dolore, anche nella posizione delle fotografie: sopra la foto del giovane americano e, sotto, la foto del feretro); – BENDA ALLโAMERICANO. INCHIESTA A RISCHIO (scorrendo la pagina, si nota lโ effetto decontestualizzante fra titolo e foto con il bagno di folla accorsa per lโultimo saluto al giovane carabiniere); – UNA BENDA E UNDICI COLTELLATE ( in questo accostamento scompare del tutto lโumano, una sintesi densa di crudezza, โsecca come un ramoโ: banalizza una realtร che chiede di essere presa in carico in tutta la sua tragica complessitร ).
Poi lo sguardo si apre sullo scenario attuale in cui le notizie vanno a impattare:
Legittima difesa.
Punire i soccorritori che intervengono nelle condizioni di pericolo in mare.
Inasprire le pene.
Evocare la pena di morte.
Ne esce un climax. Un crescendo di provvedimenti ed esternazioni che, in nome della sicurezza nazionale, fa sentire poco sicura la vita disegnata dalla nostra Costituzione. Un crescendo che, amplificato, esasperato, deformato nellโarena dei social, diventa unโonda incontrollata di odio allo stato puro โ da una parte e dallโaltra degli schieramenti politici. Sรฌ, perchรฉ lโodio non ha colore: รจ cecitร . Lโodio oscura lโumanitร , la razionalitร , la dignitร , la speranza, lโattenzione e la cura per chi รจ in difficoltร ; lโodio non riconosce la comprensione, lโempatia, il rispetto, la reciprocitร , la diversitร , ma, soprattutto, non riconosce lโamore nella sua accezione di quellโalfa privativo che significa โtogliere dalla morteโ. E la cultura della morte affonda tutti.
Dโaltra parte un mondo giornalistico che si nutre, ahimรจ, anche di queste derive. ร bastata una foto โ con tutte le emozioni che provoca, lo sconcerto che imprime e gli interrogativi che apre โ a far diventare il giorno dei funerali di un giovane carabiniere massacrato da chi giovane lo era appena diventato, un giorno di bagarre, di diverbio collettivo, di esternazioni divisive e, spesso, inaccettabili. Forse erano questi โ e questo in particolare โ i giorni del silenzio, del silenzio assordante del dolore, di quel silenzio che poteva dar vita a un sussulto di umanitร che pare stiamo lasciando naufragare negli abissi dellโindifferenza. Forse stava bene proprio la parola โsilenzioโ, con quella radice โsiโ che si rifร allโatto di legare. Legare le parole alla calma, allo spazio di una riflessione profonda sulla vita di chi credeva nel proprio lavoro, nella famiglia, negli ultimi. Ma il diritto – dovere di trasparenza dellโinformazione ha cavalcato lโonda dello scoop di una foto shock che, nella fretta del diffondere, crea un altro shock, che รจ il corto circuito etico tra tempo e ricerca della veritร dei fatti. Nella scelta, il sopravvento della tempestivitร della notizia a scapito della preventiva informazione su quale racconto ci fosse dietro a quello scatto, della possibilitร di consentire agli interessati il diritto di replica prima della divulgazione della foto al grande pubblico. Era la distanza di tempo che avrebbe consentito di silenziarsi e dare lโaddio con lacrime, rispetto e riconoscenza a un concittadino, un rappresentante dello Stato che credeva nel servizio alle istituzioni e alle persone; era la distanza che consentiva di dar senso coralmente a quella solidarietร sociale che egli, nella sua breve vita, ha testimoniato. Attendere qualche giorno per accendere i riflettori sullโeffettivo interesse alla diffusione dell’immagine per ragioni di tutela dei diritti e delle libertร altrui: era anche questo, a mio modesto parere, un atto rispettoso e a garanzia del diritto-dovere di cronaca.
Infine, lโaccostamento tra i due fatti collegati ma ben distinti, ha portato alla scelta dei giornalisti di tener unite due narrazioni di cui solo una รจ un fatto, lโaltra attende un profondo e responsabile chiarimento lontano dalle manipolazioni e dalla gogna mediatica, lontano dallโessere lesivo per un tessuto sociale giร messo alla prova.
Tante sono le storie che chiedono un ripensare a come siamo e a come funzioniamo nellโinformazione da produttori e da fruitori, anche attraverso e nei social media.
Diversi gli aspetti della violenza che chiedono di essere identificati: la violenza e la ferocia di un omicidio; la violenza insita nella disumanizzazione propria della droga; la violenza psicologica degli abusi; la violenza di far circolare foto prima ancora di capire cosa stia accadendo; la violenza morale di occupare la scena mediatica pur di fronte alla morte violenta, assurda, inaspettata che chiede la cura dello spazio del racconto, di scegliere la delicatezza nellโesercizio del diritto di parola e di informazione.
Il rischio รจ trovarci a dire โciรฒ che non siamo e ciรฒ che non vogliamoโ.
โNon domandarci la formula che possa renderti limpida lโesistenza,
bensรฌ qualche sillaba mal pronunciata e secca come un ramo.
Questo soltanto oggi possiamo dirti,
ciรฒ che non siamo, ciรฒ che non vogliamoโ.
(E. Montale)
Sandra Costa Bona, vicepresidente nazionale Aiart (Associazione cittadini mediali)