L’era del digitale, la sfida educativa
All’Istituto magistrale l’interessante incontro formativo promosso dall’Aiart con il maceratese Lorenzo Lattanzi.
di Nazareno Boncompagni
fonte Lazio Sette
Immagine frontierarieti.com
Nell’approccio ai media ci sono diritti e doveri. Che significa senso critico (facendo attenzione a non farsi calpestare) e responsabilità (usandoli facendo attenzione all’effetto che possono avere). Questo vale ancor più per quelli in cui il confine tra il mezzo e l’utente è sempre più labile, come lo sono oggi i nuovi strumenti che tanto piacciono alle giovani generazioni ma che di certo gli adulti non disdegnano.
“Cittadini mediali” è la nuova definizione che l’Aiart, nata in Italia quando è nata la tv, ha scelto per definire i propri associati: pur restando l’acronimo che fa riferimento agli ascoltatori radio–televisivi e pur non mettendo da parte l’attenzione a quello che fino a non molti anni fa sembrava essere il medium più invasivo, l’associazione di ispirazione cattolica ha allargato sempre più il proprio campo d’interesse verso le nuove tecnologie e i nuovi strumenti che rendono le persone non solo consumatori ma anche – con tutte le possibilità interattive – sempre più protagonisti.
Visto dalla parte di chi educa, si apre un mondo che richiede conoscenza, consapevolezza, saggezza e scaltrezza pedagogica. E alla platea di insegnanti, educatori, genitori presenti giovedì pomeriggio nell’aula magna dell’Istituto magistrale sono arrivati numerosi e interessanti input in merito da parte del presidente regionale Aiart Marche, il maceratese Lorenzo Lattanzi, invitato ad animare l’incontro formativo, organizzato dall’Istituto con il comitato reatino Aiart, su “Ripensare l’educazione nell’era digitale”.
Sì, ripensare. Perché la realtà delle nuove tecnologie, sempre più multiforme e multifunzione, di sfide a chi ha compiti educativi ne pone parecchie. Da esperto di media education, Lattanzi – dopo i saluti introduttivi della referente Aiart di Rieti Gianna Serani e della dirigente della scuola ospitante Gerardina Volpe, cui sono seguiti quelli dell’assessore Giovanna Palomba a nome dell’amministrazione comunale e del direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali David Fabrizi a nome della diocesi – ha coinvolto i partecipanti nell’aprire gli occhi su questo mondo in cui i nostri bambini e ragazzi sono ormai immersi sin da piccolissimi. Appassionato maestro elementare e dottore di ricerca in materia, ogni giorno si sforza di «educare ai media grazie ai media», aiutando i ragazzini, i colleghi, le famiglie ad aprire gli occhi e a non farsi dominare da quel sistema che il business delle aziende sa furbescamente cavalcare molto bene. Che non significa, ha più volte chiarito il relatore, parlare male di internet e dei nuovi media, perché di opportunità ne offrono molte, ben più dei media tradizionali. Ma rispetto ai furbastri che ti vogliono sempre più consumatore e sempre più controllato occorre essere più furbi… Cominciando a sfatare alcuni miti, come la bufala dei “nativi digitali”: «è proprio vero che le giovani generazioni sono naturalmente portate all’uso del digitale o non piuttosto vi sono indotte, se sin dalla primissima infanzia i bimbi cliccano sul tablet e giocherellano con diavolerie piene di lucette e touch?». O la bufala che il cervello sia multitasking, cosa non vera nella maggior parte della gente: quasi tutti hanno bisogno di concentrarsi su una cosa per volta e il cervello, abituato dai nuovi media a molte sollecitazioni rapide, fa un’enorme fatica (chi non se ne accorge, coi ragazzi di oggi?) a mantenere l’attenzione prolungata sullo stesso contenuto. Il mondo del web 3.0 è quello che genera analfabetismo funzionale, che bombarda con continui stimoli, che disabitua allo sguardo diretto e alla considerazione dell’altro, che crea pseudo–artisti idolatrati dai ragazzini come youtuber ma assenti sui media tradizionali… Ma anche, passando agli adulti, quello che alimenta quella polarizzazione a suon di like e inseguimento della “pancia” delle masse che tanto piace a certa politica. E dunque: demonizzare, censurare, proibire? No, è l’indicazione di Lattanzi;
piuttosto, prodigarsi nel limitare (dosando bene il che cosa, il quanto, il come in base alle età adatte), selezionare, variare, accompagnare, soprattutto con l’esempio che sappia indicare “ciò che è giusto” prima di “ciò che piace”.
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