«La Rai si curi del benessere civile e morale del Paese»
Giorgio Simonelli, storico della televisione e docente di comunicazione all’Università Cattolica di Milano, commenta la nomina dei direttori Rai. Di Chiara Pelizzoni dal sito di Famiglia Cristiana del 18/02/2016
L’ad della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, ieri, annuncia le nomine dei direttori delle Reti Rai: a Raiuno Andrea Fabiano, a Raidue Ilaria Dallatana, a Raitre Daria Bignardi, a Rai 4 Angelo Teodoli, a Raisport Gabriele Romagnoli. Scelte chiare e che certamente fanno discutere. Ne parliamo con Giorgio Simonelli, storico della Televisione e docente di comunicazione all’Università Cattolica di Milano.
Cosa ne pensi di queste nomine?
«Non faccio rilievi sulle persone che tra l’altro conosco bene. Per esempio, Ilaria Dallatana ha studiato da noi in Università Cattolica, si è laureata con Gianfranco Bettetini. Sono perplesso dal fatto che sia affidato il servizio pubblico a persone di valore, popolari ma con un profilo molto legato alla televisione commerciale privata».
Vedi dei pericoli?
«Non vedo pericoli, come potrebbe essere l’occupazione della Rai da parte di un’azienda privata. Vedo però una sensibilità e un gusto tipico della Tv privata che è legittimo, ma mal si adatta a quella pubblica. Poi, come sempre, conteranno i fatti più dei Curricula».
Che pensi del fatto che siano nomine renziane?
«Beh, che è evidente. Questo è l’annoso equivoco. Tutti dicono che la Tv pubblica non va gestita dalla politica, ma nessuno dice da chi. Sennò inevitabilmente… viene gestita dalla politica. È ora di uscire da questa ipocrisia. La Televisione pubblica va gestita dalla politica perché non c’è alternativa. Senza criteri di do ut des ma con le stesse encomiabili qualità di chi si occupa della cosa pubblica. Onestà, rettezza, etc».
E che siano direttori giovani?
«Una volta Spadolini, quando fu fatto fuori da presidente del Senato per uno più giovane, disse: “giovinezza giovinezza è un inno fascista”. Voglio dire, giovinezza o meno conta la bravura». Si è parlato molto poco di Andrea Fabiano, direttore di Rai Uno. Eppure è la rete più guardata… «Perché gli altri vanno in video. Lui è meno conosciuto. Ma questo può essere un segno di speranza».
Che augurio fai ai neo direttori?
«Di fare del vero servizio pubblico che deve avere dei caratteri di modernità, catturare i giovani, puntare sulle nuove tecnologie, rappresentare il Paese e creare un tessuto nel paese. Avere un progetto di progresso nel Paese. Rappresentare l’Italia e fare gli italiani. Tutto il resto sono mezzi, questo è il fine».
E alle tre reti Rai?
«A Rai Uno di valorizzare l’aspetto generalista quindi parlare a tutti i pubblici. Un esempio, il sabato sera che è il cavallo di battaglia di Rai Uno. Chi sta a casa il sabato sera? Che servizio fare per loro o per invogliare gli altri a stare a casa? Servono prodotti che rappresentino gli italiani nello loro sfaccettature, che gli permettano di divertirsi e insieme conoscere il Paese. A Rai Due, se davvero deve essere la rete dei giovani allora sfrutti il potenziale della musica, linguaggio per eccellenza di quell’età. A Rai tre di essere la rete della sperimentazione, che non vuol dire prodotti di nicchia o cervellotici, ma cercare nuovi formati per l’informazione e l’intrattenimento, lavorare sul linguaggio televisivo. Per tutte e tre le reti conta la “distintività”, bisogna essere distinti dagli altri. Non confondersi col privato che come fine ultimo ha fare profitti. Il servizio pubblico deve curarsi del benessere morale e civile e del piacere/felicità del Paese. Felicità che può venire anche dal Festival di Sanremo».