La buona informazione? Fa sperare se l’ultima parola è della vita.
In un mondo assetato di belle novità, si resta basiti ad ascoltare notizie ammantate di positività ma che si concludono lasciando l’amaro in bocca.
Ci riferiamo in particolare al servizio di Laura Piccinelli del Tg2 delle ore 13:00 di lunedì 29 maggio 2017, sul bambino di Ancona morto di otite curata con la medicina omeopatica. Il servizio, pieno di interessanti dettagli magistralmente condensati in pochi minuti, in chiusura cade su una banale quanto imperdonabile buccia di banana. Fa molto riflettere come la giornalista, parlando della donazione di organi di quel bambino che ha salvato tre vite (un fatto per niente trascurabile se si considera che l’Italia è tra i primi paesi d’Europa per la donazione degli organi) chiuda il servizio affermando un’ovvietà dal mero sapore emozionale: “ma Francesco adesso non c’è più”.
Avrebbe potuto esaltare i genitori per la generosità e la solidarietà, e la sensibilità del popolo italiano in genere che ancora una volta si distingue per valori così nobili. Invece il sensazionalismo ha avuto di nuovo la meglio. La giornalista ha voluto concludere a effetto, evidentemente. Peccato che l’effetto sia collaterale poiché svilisce, non poco, il senso bello e alto della donazione degli organi e della perpetuazione della vita.
Riteniamo che chi desideri fare buona informazione debba aspirare a un mondo migliore e avere come unico scopo una narrazione capace di porre riflessioni e speranze. Per questo non si può concludere una notizia lasciando l’ultima parola alla morte, anziché alla vita.