Interventi di media education
In questo saggio l’autore, Damiano Felini, docente di Pedagogia dei media presso l’Università di Parma, intende soffermarsi sul concetto di media education, mettendo in evidenza i contesti e i soggetti preposti all’insegnamento e alla messa in pratica di questo concetto al fine di fornire agli utenti una competenza mediale tale da renderli capaci di una fruizione attenta e critica. Dal n. 36 della rivista trimestrale dell’Aiart La Parabola.
http://188.226.175.150:4545/www.aiart.org/public/web/documenti/2-_Saggio_Felini.docx
Interventi di media education
di Damiano Felini
I lettori della rivista dell’Aiart non hanno bisogno di spiegazioni su cosa sia la media education: tante volte se ne è già parlato su queste pagine e, dunque, basterà riassumere il succo in una sola frase. La media education è quell’insieme di interventi educativi – realizzati in qualunque contesto (scuola, famiglia, centri giovanili…) e con qualunque utenza (bambini, adolescenti, adulti, genitori, nonni…) – orientati ad accrescere la competenza mediale delle persone, ovvero la loro capacità di comprendere, fruire criticamente e comunicare attraverso tutti gli strumenti e i linguaggi offerti dalle moderne tecnologie.
In questo contributo, vorrei approfondire un tema più specifico, ma determinante nella realizzazione di attività di media education: quello della progettazione educativa e didattica che bisogna preventivamente congegnare. Per questo, partirò spiegando cosa significhi “saper progettare” e ripercorrerò le fasi di questa attività, ben sapendo che, per diventare bravi progettisti, occorre rifarsi a una cultura della progettazione.
1. Progettare, tra sguardo globale e capacità di sintesi
Progettare è un’attività mentale che richiede soprattutto una dote di sintesi: infatti, per giungere alla definizione di un piano operativo – in qualunque campo, non solo per la media education – è necessario saper intelligentemente mixare una serie di informazioni, variabili e idee, a vari livelli.
Per comprendere meglio questo principio, può essere utile riprendere alcuni concetti formulati più di trent’anni fa da Sergio De Giacinto, uno dei maggiori epistemologi italiani della pedagogia. Secondo questo autore, la pedagogia è, in primo luogo, una “scienza pratica”, ovverosia un campo di conoscenze finalizzate a risolvere dei problemi concreti: non, dunque, una scienza teoretica, come potrebbe essere la botanica, il cui scopo è eminentemente quello di accrescere la conoscenza di una certa fetta della realtà (quella dei vegetali), ma appunto una scienza che, oltre a conoscere, deve anche consentire un’azione più efficace nel raggiungere un certo obiettivo desiderato. Poiché, però, le azioni non sono un semplice “agitarsi” nell’aria ma incorporano una conoscenza in base alla quale si opera una successione razionale di gesti, la soluzione di un problema concreto (per esempio, di tipo educativo) presuppone “la combinazione di concetti e situazioni”. A questo momento “logico”, cioè legato a un modo tipico di pensare dell’operare in ambito formativo, De Giacinto dà il nome di cabina di regia, vedendovi delle somiglianze con quanto fa, appunto, il regista di un film.
La progettazione di un’azione educativa è esattamente questo momento logico di mixaggio. Difatti, nella progettazione si devono mettere insieme tre cose: la conoscenza di un certo stato o contesto, gli obiettivi che vogliamo raggiungere – che costituiscono la possibile soluzione al problema/bisogno per cui organizziamo quell’intervento – e certe informazioni teoriche o provenienti dall’esperienza che ci fanno dire che un certo percorso può essere efficace per raggiungere il nostro scopo. La conoscenza (teorica) della pedagogia e della didattica, infatti, non è condizione sufficiente per avere successo in educazione: è necessario congiungere, appunto, le conoscenze astratte con la comprensione della situazione concreta. E peraltro – è sempre De Giacinto a suggerircelo – anche le conoscenze teoriche che applichiamo derivano da un mix: quello che ci fa costruire la conoscenza unitaria di un certo fenomeno a partire dai molteplici saperi disciplinari che ci occorrono per mettere analiticamente a fuoco i diversi aspetti del fenomeno stesso. Per esempio, una situazione mediaeducativa richiede nozioni di psicologia dell’apprendimento, di didattica, di psicologia dei gruppi, di filosofia dell’educazione, di teoria della comunicazione e sociologia dei media, tutte teoreticamente rimodulate all’interno della visione pedagogica, cioè globale, del fenomeno.
Questa cabina di regia tra situazione e conoscenze provenienti da vari campi disciplinari, però, non è la sola ad operare nel momento della progettazione. Ad un livello forse più immediato, infatti, progettare è anche mettere insieme una serie di elementi diversi che compongono la situazione attuale su cui si interviene e gli ingredienti necessari a comporre l’intervento medesimo. Ogni attività mediaeducativa è la sintesi – non casuale, bensì voluta, cioè progettata – di variabili di varia natura (tempi, risorse, obiettivi, attori, spazi…) che necessitano di essere tutte considerate fin dall’inizio, almeno per quanto possibile, pena il ritrovarsi in congiunture complicate o vicoli ciechi. Tanto più il progettista è in grado di (pre)vedere tutti gli elementi della situazione e le variabili intervenienti e di amalgamarle in un quadro unitario, tanto maggiore sarà la capacità del progetto di giungere al suo obiettivo.
Si badi bene, però, che – in condizioni di razionalità limitata, quale quella che ragionevolmente dobbiamo ipotizzare per le situazioni di progettazione formativa, vale a dire in condizioni in cui è impossibile ipotizzare un totale controllo delle variabili da parte del progettista – la qualità di questa operazione di sintesi non è tanto nella sua anticipazione temporale, ma nella sua capacità di considerare onnicomprensivamente (il più possibile, per quanto possibile) ogni fattore, al limite anche tenendo conto che alcune variabili sono, al momento della progettazione, ancora incognite.
La conseguenza di quanto abbiamo appena detto è che la progettazione è un’attività che comprende un insieme di cose diverse, tutte interconnesse in maniera circolare. Tradizionalmente, invece, si intendeva la progettazione all’interno di una sequenza lineare: analisi dei bisogni > progettazione > attuazione > valutazione > documentazione, dove, appunto, la progettazione era una delle prime fasi di lavoro. Il limite di questa seconda concezione è che non tiene conto del fatto che la progettazione è sì un momento iniziale della sequenza, ma è anche un’attività che, col pensiero, abbraccia tutte le altre: quando un educatore progetta, progetta anche l’analisi dei bisogni e la valutazione, e progettare la valutazione in un certo modo determina anche il modo con cui si svolgerà il progetto, e viceversa.
Per questo, nello scrivere di progettazione della media education ho in mente uno schema come quello riportato nella Fig. 1. Lì si vede che l’azione mediaeducativa è, anche cronologicamente, scandita lungo quattro momenti, ovvero la conoscenza dei bisogni e della situazione iniziale, la predisposizione delle risorse (fund raising, coinvolgimento delle risorse umane, studio delle disposizioni normative, scelta degli strumenti tecnologici…), l’attuazione del progetto e la verifica degli apprendimenti raggiunti (in termini di conoscenze e competenze). Attorno a questo nucleo, ho ipotizzato la presenza di altre tre attività, che non sono cronologicamente prima o dopo quelle elencate sopra, almeno non in maniera netta e predeterminata: il progettare, il monitorare, il valutare e il documentare. Esse mi sembrano delle attività di back-office – nel senso che vengono svolte “dietro le quinte”, in assenza dei bambini, adolescenti o adulti destinatari dell’attività – che il media educator svolge sempre, in ogni momento del ciclo di vita di un progetto, sapendo che ciascuna influisce su tutte le altre e dalle altre è a sua volta influenzata.
Chi volesse approfondire tutti questi momenti del progettare la media education, può riferirsi a un volume, curato con Roberto Trinchero, che li affronta tutti, alla luce della ricerca didattica e della pluriennale esperienza di un gruppo di formatori specializzati in questo campo.
Fig. 1 – Momenti e azioni nel ciclo di vita di un progetto mediaeducativo.
2. La stesura del documento progettuale
Ora mi concentrerò sul momento in cui si concretizza la progettazione, ovverosia sulla fase di stesura del documento progettuale, cioè del testo, più o meno lungo, che raccoglie in forma anticipata e sintetica l’esplicitazione di tutte le scelte e indicazioni che, in seguito, guideranno la realizzazione del percorso stesso. In forma anticipata – ho detto – perché il documento progettuale è elaborato prima che il percorso sia messo in atto ed esprime quanto si auspica, o si prevede, di realizzare. Inoltre, ho usato l’aggettivo sintetico, intendendo questa determinazione sia in senso formale che logico: il documento progettuale, infatti, non solo è un testo relativamente breve (ovviamente in rapporto alla complessità o articolazione del percorso cui si riferisce), ma soprattutto è un testo che, partendo dalla considerazione degli obiettivi per cui viene svolta l’azione formativa e delle variabili che possono intervenire nel suo svolgersi, propone un visione panoramica dell’attività da svolgere, entro cui sono stati ricompresi tutti gli elementi significativi al fine di un ottimale compimento dell’attività stessa.
Insisto nell’usare l’espressione “documento progettuale”, invece che “progetto”, per distinguere una certa attività formativa finita nel tempo (“sto lavorando in un progetto di educazione ambientale”) dal testo scritto che la regola, visto che nei contesti educativi – come anche nel gergo dell’architettura o dell’edilizia – si usa la parola “progetto” in maniera confusa, per indicare sia l’una che l’altro.
3. A chi e a cosa serve il documento progettuale?
L’elaborazione di un documento progettuale risponde ad almeno due esigenze.
In primo luogo, quello della stesura è il momento in cui i progettisti si costringono a precisare il più possibile quello che intendono fare. Progettare è sforzarsi di mettere dentro un unico quadro una serie di elementi che vanno dal passato al presente e dal presente al futuro possibile (non quello utopico o dei sogni ad occhi aperti), secondo una logica di itinerario. Significa che bisogna prendere in considerazione ogni elemento e assumere delle decisioni, uscendo dalla folla di idee da cui inizialmente ha preso vita un certo progetto per giungere a una visione per certi aspetti più circoscritta, ma indubbiamente più realistica: durante la progettazione, infatti, l’idea di partenza fa i conti con la messa alla prova, dove la prova è una verifica di fattibilità e, in ultima analisi, una prova di realtà. Inoltre, tutto questo si fa, di solito, in gruppo, cosa che implica un’aperta discussione di ogni scelta, al fine di giungere ad un’elaborazione il più condivisa possibile. Stendere il documento progettuale, pertanto, può essere considerato un esercizio, a volte assai complesso, ma certamente utile per passare da una visione confusa e disarticolata di ciò che si intende fare a una visione più chiara, dettagliata e coerente di un certo lavoro. Per questo, non dovrebbe essere considerato una routine, né fatto di notte accompagnati da caraffe di caffè: quella del progettare è una fase delicata che ha bisogno di tempi distesi.
In secondo luogo, il documento progettuale ha una funzione comunicativa: come qualsiasi testo, parla di qualcosa a qualcuno. Il “qualcuno” può essere, a seconda dei casi, il responsabile del servizio nel quale operiamo, l’assessore da cui speriamo un finanziamento, i ragazzi a cui proponiamo di partecipare, i loro genitori, i colleghi, l’Unione Europea o i partecipanti a un convegno ai quali presenteremo la nostra idea. In alcuni casi, la comunicazione ha una funzione esclusivamente informativa, in altri ha anche la funzione di convincere che si tratta di una proposta mediaeducativa intelligente e adeguata ai bisogni, al punto da indurre i destinatari della nostra comunicazione a spendersi in prima persona, dandoci dei soldi o impiegando le loro energie. Per ciascuna, e per ciascun destinatario che ipotizziamo avrà il nostro testo, si dovrà trovare lo stile più adatto.
Se il documento progettuale ha queste funzioni, la chiarezza è la sua caratteristica principale e irrinunciabile: una chiarezza che viene dall’aver pensato alle attività in maniera rigorosa (“chi parla male, pensa male; e vive male”, diceva Nanni Moretti in Palombella rossa), e dall’aver dato ai pensieri una forma comprensibile, cioè ordinata, precisa, che non lasci dubbi al lettore e che, pur nella brevità di cui dicevamo, spieghi e giustifichi ogni elemento, su un piano operativo più che (o oltre che) teorico.
4. La struttura del documento progettuale
Una difficoltà generalizzata di chi si accinge a stendere un progetto mediaeducativo, soprattutto se lo fa per la prima volta, è quella di non sapere cosa ci si debba scrivere e in che ordine. Venire incontro a questa esigenza non è difficile, anche se è necessario tenere conto del fatto che non esiste un unico format per la progettazione educativa e mediaeducativa, valido per ogni situazione: ciascun progetto, piuttosto, chiede di essere progettato anche nella sua propria struttura e forma, perché specifiche ne sono le caratteristiche. Detto questo, però, c’è una serie di elementi che può guidarne la stesura: ho provato a elencarli nella Fig. 2 e li analizzerò brevemente uno per uno, con uno sguardo allo specifico della media education.
Fig. 2 – Struttura del documento progettuale.
4.1 Dati generali del progetto
Si tratta di indicare in maniera essenziale le informazioni generali relative al progetto. Ovviamente, le voci specificate nello schema possono essere aumentate o diminuite a seconda della necessità.
4.2 Presentazione e finalità
Ogni documento progettuale deve iniziare con una descrizione concisa ma efficace delle motivazioni che rendono importante la realizzazione del progetto stesso e delle finalità che si intendono raggiungere. Lo scopo di questa parte (mai più lunga di 20 o 30 righe) è quello di far capire il senso dell’iniziativa anche a chi non è addentro alle questioni che vi si trattano. Le finalità da indicare in questa sezione sono di carattere generale e comprendono, non solo le finalità educative che vogliamo far raggiungere ai destinatari (v. Par. 4.6), ma anche le finalità esplicite dell’organizzazione proponente (stabilire contatti, rafforzare una rete di collaborazioni, presentarsi sul territorio con una determinata immagine, acquisire un certo bagaglio di competenze…).
4.3 Bisogni formativi
I bisogni formativi sono costituiti dall’insieme dei “problemi” da cui è scaturita la volontà di realizzare un certo progetto di media education. Talvolta sono individuati in maniera intuitiva da qualche membro dell’équipe; talaltra sono identificati attraverso un percorso di analisi più sistematico e metodologicamente strutturato. Ad ogni modo, in questa voce del documento progettuale si deve sintetizzare l’insieme dei bisogni formativi riscontrati e/o gli strumenti e le tecniche utilizzate o da utilizzare per tale analisi.
4.4 Contesto formativo di applicazione e azioni di coinvolgimento
In questa voce si deve indicare qual è l’ambito formativo in cui si svolgerà il progetto: una scuola? una cooperativa? un ente di formazione? una rete di servizi? la biblioteca civica in collaborazione con un circolo culturale? Questa precisazione è necessaria poiché un progetto di media education, realizzato, per esempio, in ambito scolastico all’interno dell’orario curricolare, ha inevitabilmente caratteristiche diverse da un progetto che, magari con finalità analoghe, si potrebbe invece attuare in un centro giovanile. Sempre in questa voce, si devono riportare le eventuali azioni di coinvolgimento, sia rivolte ad altri potenziali partner, sia orientate a far conoscere agli utenti la nostra iniziativa e a promuoverne l’adesione (qualora, ovviamente, questi non siano “costretti” a parteciparvi, come a scuola).
4.5 Destinatari e pre-requisiti richiesti
Si tratta di definire chi siano le persone che parteciperanno come uten¬ti/educandi all’attività formativa. È bene prevedere non solo la loro età indicativa, ma anche conoscerne le esperienze precedenti e le motivazioni che li sostengono, stabilire i requisiti di accesso e le eventuali procedure di selezione, precisare le modalità di raggruppamento e, se previste, quelle per la distribuzione dei compiti tra i partecipanti.
4.6 Obiettivi
Questa sezione deve essere dedicata in maniera specifica agli obiettivi formativi e didattici che ci aspettiamo di conseguire con il percorso, a precisazione delle finalità educative già indicate nell’apposita voce. Mentre tra le finalità possono essere contemplati dei risultati che gli autori del progetto auspicano per se stessi o per il proprio ente, gli obiettivi riguardano ciò che si cercherà di far acquisire, durante il progetto, ai suoi destinatari.
Gli obiettivi possono essere suddivisi in varie categorie:
a) obiettivi di apprendimento, esprimibili in termini di:
conoscenze, ovvero informazioni, concetti, rappresentazioni, strutture mentali…;
abilità, ovvero capacità pratiche di tipo routinario che non richiedono autoriflessione o interpretazione (per es., procedure codificate);
competenze, ovvero capacità pratiche da applicare alla soluzione di situazioni anche nuove e che, di conseguenza, richiedono capacità di analisi, autoriflessione, interpretazione, individuazione di strategie ottimali e così via.
Inoltre, in campo scolastico, gli obiettivi di apprendimento possono essere suddivisi in:
mediaeducativi, cioè specifici rispetto al campo dell’educazione ai media;
disciplinari, cioè riferiti a conoscenze, abilità o competenze caratteristiche di una o più materie curricolari, che si possono conseguire attraverso il progetto di media education (per es., l’obiettivo “Stabilire relazioni tra situazione di comunicazione, interlocutori e registri linguistici” è previsto dalle attuali Indicazioni per il curricolo per Italiano al termine della 3a classe della scuola secondaria di 1° grado, ma può essere raggiunto attraverso un progetto di media education);
b) obiettivi di cambiamento personale, in termini di modifica di comportamenti, prassi operative, scelte e atteggiamenti dei destinatari del progetto;
c) obiettivi di cambiamento organizzativo, in termini di effetti attesi sul gruppo (es.: mentalità di gruppo), sull’ente (es.: procedure) o sul territorio (es.: comportamenti sociali) in cui vivono i destinatari del progetto;
d) altri risultati attesi e possibili effetti emergenti.
4.7 Fasi di lavoro e tempi di realizzazione
Questa sezione è – per la nostra esperienza – la più delicata e, spesso, quella in cui si riscontrano le lacune più gravi. Sia nei progetti di breve durata, e ancor più in quelli che proseguono per molti mesi, scandire chiaramente le fasi di lavoro è di importanza capitale, sia per far comprendere il progetto a persone esterne, sia per fornire a chi ci lavora una rotta puntuale nell’attività da svolgere. Precisare le fasi di lavoro, in realtà, significa in primo luogo chiarirsi tutto ciò che si deve fare in ordine alla realizzazione del progetto, stabilire la sequenza delle azioni, le persone deputate a svolgerle e i tempi previsti di realizzazione. In fase progettuale, ovviamente, la tempistica è solo indicativa e potrà subire modifiche in sede di attuazione. Ciò che importa, però, è definire con chiarezza le azioni da realizzare.
Per questo scopo, può essere utile anche fissare uno schema che, in forma grafica, riassuma tutte le attività, permettendo di visualizzarle in un unico colpo d’occhio. Per i progetti più semplici può bastare un canovaccio come quello riportato nella Fig. 3, che si riferisce ad un’unità didattica interdisciplinare sulla pubblicità, realizzata in una 2a media di Lodi con il concorso di gran parte dei docenti di quella classe (durata complessiva: 30 ore). Per i progetti più complessi, invece, si può creare un diagramma di Gantt, uno strumento che permette di pianificare un lavoro in maniera più dettagliata, con l’indicazione delle date o dei periodi in cui svolgere le singole azioni. Esistono software specifici per la costruzione di diagrammi di Gantt, sia gratuiti (come Achievo, GanttProject, InTask Personal e altri), sia a pagamento. Ad ogni modo, se l’esigenza è limitata, si può creare un diagramma di Gantt anche manualmente in Excel.
4.8 Metodi didattici ed eventuale prodotto da realizzare
Si potranno individuare e descrivere un orientamento metodologico complessivo del progetto (spesso rispondente alle logiche tipiche dell’organizzazione: pedagogico-didattica, psico-sociale, animativo-espressiva, curativo-aggregativa…) e un metodo specifico per i diversi interventi previsti dal progetto (lezione frontale, lezione partecipata, cooperative learning, educazione tra pari, project work, laboratorio e così via).
Inoltre, trattandosi di media education, è assai frequente che il progetto preveda la realizzazione di un prodotto mediale (giornalino, video, ipertesto, sito web, fumetto, cartelloni…). In questo caso, è bene precisare di cosa si tratta, perché lo si è scelto e di quali modalità di diffusione del prodotto ci si avvarrà (distribuzione gratuita ai partecipanti o a un pubblico più vasto, presentazione a concorsi o convegni, distribuzione in collaborazione con i media locali…).
4.9 Sistema della docenza (risorse umane)
Ogni progetto prevede qualcuno che conduce il lavoro, sia esso una singola persona o, più frequentemente, un team. Le figure che si possono ipotizzare (e di cui è bene definire le competenze e le mansioni nelle diverse fasi del progetto) sono: responsabile del progetto, coordinatore, docente, formatore, supervisore, tutor, esercitatore e così via. In posizione differente, perché non propriamente legate ad un ruolo di docenza, ci sono le varie figure che forniscono l’assistenza tecnica. Pensare alla funzione docente – e, in generale, alle risorse umane coinvolte in un progetto – come a un sistema è pienamente in linea con le riflessioni più aggiornate sulla figura del media educator, da pensarsi più come équipe che come singolo cane sciolto tuttofare. Di tutte le persone a vario titolo coinvolte, sarà bene precisare se si tratti di lavoratori interni all’organizzazione o di collaboratori esterni (nel qual caso si deve prevedere chi sarà incaricato di mantenere i contatti).
4.10 Risorse strumentali
Sotto questa voce si deve indicare tutto il materiale e la strumentazione tecnica necessaria all’attuazione del progetto. Nel caso di progetti molto lunghi e articolati, può essere utile indicare le risorse strumentali necessarie in ciascuna fase dell’attività (p. es., anche all’interno del diagramma di Gantt).
4.11 Budget
Si devono qui elencare tutte le voci di spesa, con una previsione della cifra necessaria: compensi, rimborsi per le spese di viaggio e altri rimborsi, spese di pubblicità, spese legate alla documentazione, spese per l’acquisto o noleggio di attrezzature, spese legate al prodotto da realizzare e distribuire, spese di segreteria, di amministrazione e così via. Per stimare i costi relativi al personale, si possono considerare, consultandoli online, i tariffari stilati da alcuni ordini professionali (ma gli educatori, per esempio, non hanno nulla del genere, tanto meno i media educator); per le collaborazioni con le scuole, invece, si tenga conto dei compensi orari massimi previsti dal Miur.
Inoltre, in questa voce si deve anche indicare, se è già stata stabilita, la cifra massima a disposizione per l’attuazione dell’intero progetto, oppure gli eventuali fondi aggiuntivi che si possono ottenere (con relative fonti di finanziamento), oppure ancora prevedere che certe azioni del progetto saranno effettuate solo a condizione che si reperiscano certi fondi.
4.12 Piano di monitoraggio e valutazione
Indicare quali modalità di valutazione si intende attivare, ricordando che, a seconda delle attività di media education, dei contesti e dell’utenza, tali modalità dovranno cambiare. Fin da subito è opportuno distinguere i processi valutativi:
ex ante, finalizzati a verificare, per esempio, i requisiti di accesso, le aspettative dei partecipanti o le condizioni di realizzabilità di certe azioni;
in itinere, finalizzati a tenere monitorato il processo di apprendimento (per esempio, verificando il raggiungimento di obiettivi intermedi) o il lavoro dei media educator;
ex post, finalizzati a verificare gradimento, apprendimento e cambiamento dei destinatari, a valutare se il progetto ha raggiunto i suoi obiettivi, nonché a comprendere quali aspetti dell’azione mediaeducativa siano più o meno riusciti.
Per dare concretezza al piano di monitoraggio e valutazione, è bene sforzarsi di precisare quali strumenti saranno utilizzati (questionari, interviste, valutazione di prodotti multimediali, valutazione tra pari, portfolio personale…), in quali momenti, e chi, tra il personale, sarà addetto a somministrarli o compilarli.
4.13 Documentazione
Analogamente a quanto fatto alla voce precedente, si tratta di definire quali attività consentiranno di tener memoria di quanto si andrà a fare nel corso del progetto, e chi dovrà occuparsene.
5. Qualche consiglio finale
Tutti questi elementi non spaventino: progettare è senz’altro un’attività complessa, ma anche molto avvincente e capace di dare grandi soddisfazioni. L’importante è non concepire la fase di stesura come un dovere d’ufficio da sbrigare burocraticamente ma come l’occasione per chiarirsi e chiarire le idee su ciò che si vuole andare a fare.
In conclusione, voglio riportare alcuni consigli utili nella fase di stesura di un documento progettuale nel campo della media education:
prestare attenzione al dato oggettivo da cui si parte: un’attività di media education deve iniziare, non sulla base di una moda educativa o per la semplice “passione” dell’educatore, ma perché si rileva e si individua precisamente un’esigenza dei destinatari o perché comunque si ritiene che essi ne possano trarre occasione di crescita;
il senso del prodotto mediale e della tematica su cui si lavora: come spesso si è sentito dire, ciò che fa la qualità della media education è il percorso educativo, ovvero il processo di apprendimento che si riesce ad attivare. L’importante, però, è che non si perdano di vista le finalità e gli obiettivi orientati all’accrescimento della competenza mediale, anche quando si lavora su un tema specifico, disciplinare o trasversale che sia;
la scelta di strategie animative: sia nella scuola che fuori, la media education non può essere realizzata secondo modalità didattiche di trasmissione frontale. È indispensabile operare attraverso setting laboratoriali, suscitando discussioni, inventando situazioni di apprendimento collaborativo e/o basate sul problem solving;
attenzione alla stesura del documento progettuale, intendendo questa fase come un momento di riflessione, presa di coscienza sull’attività e accurata pianificazione, non come mero adempimento di un compito amministrativo. È importante ricordare che lo scopo del testo di un progetto è quello di comunicare le scelte compiute, sia all’esterno dell’organizzazione (committenza, dirigenza, opinione pubblica…) che all’interno (collaboratori, colleghi…);
per questo, le voci indicate nei paragrafi precedenti come componenti di un documento progettuale possono essere adattate di volta in volta, a seconda delle necessità e specificità di quanto si sta facendo;
porre attenzione alla connessione tra finalità, obiettivi, metodi e fasi d’azione: troppo spesso, infatti, si riscontrano incongruenze tra le diverse parti del progetto (es.: si dichiara di voler rendere più mature le abitudini di fruizione mediale degli utenti e poi si lavora soltanto sull’analisi del testo). Spero che le indicazioni contenute in questo articolo possano servire a migliorare la qualità delle azioni di media education. Infatti, lo scopo ultimo della progettazione educativa e didattica, in questo ambito come in altri, è proprio quella di anticipare e supportare l’attività, garantendo i livelli più alti possibile di razionalità, sensatezza ed efficacia dei percorsi e dei processi.