ilprincipenudo. Bando per il comitato ‘censura’ cinema, ma sul web vale tutto

Scade oggi alle 17 il termine per autocandidarsi a ‘controllore’ cinema del Ministero della Cultura: ma resta il grande caos della tutela dei minori soprattutto sul web. Le dichiarazioni dell’Aiart. Di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult) dal sito Key4biz del 18 gennaio 2016

La notizia non ci sembra abbia registrato particolare ricaduta mediale, ma sulle colonne di un quotidiano telematico specializzato su “la digital economy e le culture del futuro” qual è “Key4biz” merita una opportuna segnalazione: scade oggi lunedì 18 gennaio alle ore 17 il termine per la presentazione delle “manifestazioni d’interesse” (alias auto-candidature) per l’incarico di Componente della Commissione di Revisione Cinematografica per il biennio 2016-17, in ambito Direzione Generale Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. L’avviso è stato pubblicato il 23 dicembre 2015, e sicuramente molti son stati distratti dalle festività di Natale e Capodanno.

Di cosa si tratta?!

Di un’eletta schiera di persone che son chiamate dallo Stato italico, sulla base di una legge che ha ormai 50 anni (sigh!), a pronunciare il proprio parere in relazione all’autorizzazione alla proiezione in pubblico di tutti i film che escono nelle sale cinematografiche su tutto il territorio nazionale.

La Commissione di Revisione Cinematografica è strutturata in 7 Sezioni, come previsto dal Decreto Ministeriale Mibact del 10 febbraio 2014 (capo VI, “Commissione per la Revisione Cinematografica”), registrato dalla Corte dei Conti il 25 marzo 2014.

Ogni Sezione è composta da 11 componenti (come previsto dall’art. 7 della legge n. 203 del 30 maggio 1995):
– 1 docente di diritto, in servizio o in quiescenza, che la presiede;
– 1 docente di psicologia dell’età evolutiva, in servizio o in quiescenza;
– 1 docente di pedagogia, con particolare competenza nei problemi della comunicazione sociale, in servizio o in quiescenza;
– 2 esperti di cultura cinematografica, scelti tra critici, studiosi e autori;
– 4 rappresentanti dei genitori designati dalle associazioni più rappresentative;
– 2 rappresentanti delle categorie di settore.

Per ogni membro effettivo, è nominato un supplente.

La “call” attuale riguarda, quindi, specificamente 4 membri degli 11 previsti:
– 1 con funzioni di Presidente, scelto fra docenti di diritto, in servizio o in quiescenza, che appunto la presiede;
– 1 scelto fra docenti di psicologia dell’età evolutiva o fra docenti di pedagogia con particolare competenza nei problemi della comunicazione sociale, in servizio o in quiescenza;
– 2 individuati fra esperti di cultura cinematografica scelti fra critici, studiosi e autori.

La legge cui ci si riferisce è la n. 161 del 1962 (sic), così intitolata: “legge 21 aprile 1962, n. 161, e successive modificazioni, recante la disciplina della revisione dei film e dei lavori teatrali” (poi modificata, per la composizione della Commissione, dalla successiva succitata n. 203 del 1995).

Si tratta di un sistema di censura preventiva che assoggetta al rilascio del cosiddetto “nulla osta” la proiezione pubblica dei film cinematografici, e finanche la loro esportazione all’estero.

Tecnicamente, questa la procedura che va seguita per l’autocandidatura: si deve utilizzare lo schema allegato (clicca qui per il modulo), e lo si deve far pervenire entro le ore 17 del 18 gennaio 2016 alla Direzione Generale Cinema del Ministero, allegando il curriculum e la fotocopia di un documento di identità. Tutti i documenti (domanda, curriculum e carta d’identità) devono essere sottoscritti dall’interessato. Debbono essere inviati per posta elettronica ordinaria o per posta elettronica certificata, specificando nell’oggetto “Avviso pubblico per la manifestazione di interesse alla nomina di componente della Commissione di Revisione Cinematografica”, ai seguenti indirizzi: dg-c@beniculturali.it (posta elettronica); mbac-dg-c@mailcert.beniculturali.it (posta elettronica certificata). Si può anche spedire la domanda e gli allegati in plico chiuso con raccomandata a/r o consegnarla a mano secondo le modalità indicate nell’avviso di cui sopra.

Va segnalato che – come ormai prassi prevalente in casi di organi consultivi come questi – la Commissione “opera senza oneri a carico della finanza pubblica”, e che quindi “ai componenti della Commissione non spetta alcun emolumento o indennità”. Già questo vincolo “pauperistico” – ovvero della “gratuità degli incarichi” – è oggettivamente demotivante per professionisti impegnati seriamente, ma certo vi può essere chi decide che la “mission” civica debba prevalere sul proprio lavoro (e reddito), e quindi si sacrifica come “civil servant”. Non a caso, si tratta spesso di… pensionati.

Prendiamo spunto dalla notizia, per segnalare però le incongruenze di questo nostro Paese: presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ci sono una ottantina di “giudici” cinematografici (il doppio, considerando i supplenti), ovvero persone che, nel bene e nel male, si vedono in anteprima alcune centinaia di film immessi ogni anno nel circuito “theatrical”, e debbono manifestare il proprio pensiero, decidere “classificazioni” (le famose “vietato ai minori di anni 14” e “vietato ai minori di anni 18”), e semmai utilizzare finanche le forbici… mentre, su altro fronte (dimensionalmente ben più ampio), esiste tutto un mondo audiovisivo, via televisione e via internet, che è lasciato in balia di se stesso, e decide in assoluta autocrazia e totale discrezionalità cosa offrire in onda ed online.

Siamo di fronte ad una assurdità incredibile, una contraddizione surreale.

In verità, il rilascio del “nulla osta” cinematografico condizionato dal divieto ai minori di anni 14 o 18 determina una qualche conseguenza (teorica) anche sullo sfruttamento televisivo del film: infatti, i film ai quali viene negato il “nulla osta” e quelli “vietati ai minori degli anni 18” non possono essere trasmessi in televisione (se non sulle “pay tv”), mentre i film vietati ai minori degli anni 14 possono essere trasmessi solo in determinate fasce orarie, regolate dalla legge n. 203 del 1995, per cui la trasmissione di film “che contengano immagini di sesso o di violenza tali da poter incidere negativamente sulla sensibilità dei minori, è ammessa solo fra le 23 e le 7”.

Evitiamo commenti su quanto questa previsione di legge sia stata e venga rispettata dai “broadcaster” italiani. Anche perché può accadere che film “vietati ai 18 anni” vengano, con poche sforbiciate, ri-classificati (dalla Commissione di Revisione, appunto) a 14 anni, eccetera. E poi, chi dovrebbe controllare?! Se è l’Agcom, temiamo non lo faccia proprio. E ci limitiamo a rimarcare come la norma sia riferita esclusivamente ai film “cinematografici”.

Per tutto quel che è “immagini in movimento” non destinate alla prioritaria utilizzazione “theatrical”, tutto è sostanzialmente affidato – grazie ad una discreta confusione normativa – alla discrezionalità dei broadcaster ovvero ai responsabili dei siti internet: da non crederci – ribadiamo – ma così è.

E parliamo di un universo di immagini ben più ampio dello specifico dei “film cinematografici”: dalla fiction all’entertainment ai videoclip e finanche agli spot pubblicitari (su questi ultimi vigila – dovrebbe vigilare – un comitato di autoregolamentazione, qual è l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (Iap), regolato dal Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, giunto alla 60ª edizione, in vigore dal 12 novembre 2015, ma sia consentito manifestare un qualche dubbio sul suo operato)…

La tematica è delicata, dolente, scabrosa.

Se nulla esiste, a livello “regolamentativo”, per il web, a livello televisivo esisterebbe in verità un meccanismo di “autoregolamentazione”, dato che nel 2002 le emittenti sottoscrissero un “codice di autoregolamentazione”, denominato giustappunto “Codice Tv e Minori”, che aveva l’obiettivo di tutelare i minori utenti del medium televisivo, attraverso un Comitato divenuto poi “Comitato Media e Minori”. Il Comitato è composto paritariamente da rappresentanti delle emittenti (5), degli utenti (5), dalle istituzioni (5), vigila (dovrebbe vigilare) sulle applicazioni del Codice, valuta le violazioni (segnalate anche dagli utenti), e trasmette all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni le richieste di sanzioni.

La cosiddetta “fascia protetta” è però ormai ridotta ad una affermazione di principio scritta sull’acqua. L’effimero “bollino” appare veramente l’ennesima presa in giro. Il meccanismo del “parental control” una simpatica ipocrisia (anche perché la maggior parte dei televisori in uso alle famiglie italiane non dispone di un simile “device”)… Qualsiasi genitore minimamente responsabile se ne rende conto: basta accendere la televisione, a qualsiasi ora.

L’apparato burocratico non ha mai funzionato in modo significativo: l’efficacia di norme e regolamenti, e soprattutto di autoregolamenti tende a zero.

Torneremo su queste complesse vicende, e ci limitiamo qui a segnalare la posizione assunta dalla più pugnace associazione di telespettatori attiva in Italia (di fatto, l’unica), la cattolica Aiart (Associazione Spettatori Onlus), che pubblica da mesi sul proprio sito web (in bella mostra sull’homepage) una sconfortante descrizione della degenerazione italica, dal sintomatico titolo: “La scandalosa ‘liquidazione’ del Comitato Media e Minori”, a firma di Antonio Vitaliano.

Riportiamo quel che il Presidente dell’Aiart, Luca Borgomeo, tuonava il 15 ottobre 2015 in un dispaccio dell’agenzia di stampa Sir (organo della Conferenza Episcopale Italiana): “Liquidato di fatto il Comitato Media e Minori (inattivo da oltre due anni), reso insignificante e quasi inutile il Consiglio Nazionale Utenti – Agcom, ignorate le iniziative e le proteste delle associazioni di telespettatori, genitori e consumatori, le emittenti hanno avuto mano libera e, potendo vantare nei fatti di una sorta di impunità, hanno violato e violano leggi, codici etici, norme di regolamentazione, elementari principi morali”. Ciò che preoccupa, sottolinea Borgomeo, è “il silenzio dei quotidiani, delle tv, dei media in generale su un tema di grande rilievo morale e sociale. La sordina dei quotidiani (più o meno tutti) sui diritti dei minori violati dalla tv, è inspiegabile”.
In una sezione del Ministero dello Sviluppo Economico, sono ospitate alcune scarne paginette relative al Comitato “Media e Minori”: deprime osservare come nel 2015 risultino assunte 5 risoluzioni 5 soltanto, nell’arco di un anno…

Il Comitato Media e Minori (che nella sua nuova composizione si è insediato il 23 ottobre 2013, presieduto dal giurista Maurizio Mensi) sembra debole geneticamente, ed è stata oggetto di polemiche la gestazione del suo nuovo regolamento (che Mensi ha trasmesso in bozza al Sottosegretario Antonello Giacomelli): il qualificato mensile “Vita”, portavoce del terzo settore, intitolava a chiare lettere, a fine luglio 2015, “Tv e minori, il Comitato diventa monopolio delle emittenti”.

E peraltro – regolamento vecchio o nuovo che sia – la voce del Comitato viene contraddetta dalla stessa Agcom! Un caso recente ed emblematico: come ha avuto occasione di scrivere il 22 dicembre 2015 Remigio Del Grosso (Vice Presidente del Cnu dell’Acgom): “ancora una volta, pertanto, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni sconfessa l’operato del Comitato Media e Minori, per il quale la testata giornalistica della terza rete Rai aveva “trasmesso senza alcun preavviso un video straordinariamente drammatico che ritraeva un bambino di circa dieci anni – senza celarne le fattezze – mentre punta la pistola su due ostaggi kazaki” (…). Nella decisione Agcom, si afferma testualmente che “il giornalista, peraltro, in ottemperanza a quanto previsto dal paragrafo 2.3. del Codice di Autoregolamentazione Media e Minori, ha preavvisato i telespettatori circa le criticità del video, consentendo al telespettatore adulto di esercitare la funzione educativa e di sostegno nei confronti del minore in ascolto”. È questa una giustificazione che non appare assolutamente aderente alla realtà. Infatti, il corrispondente-narratore non fa alcun accenno alla criticità del video, che appare improvvisamente al telespettatore dopo ben un minuto e mezzo dall’apertura del servizio. Mentre la giornalista in studio, anziché avvertire il telespettatore della criticità delle immagini che verranno mostrate, si limita semplicemente a dire che “su internet compare un video shock postato dal Califfato in cui si vede un bambino che spara contro due prigionieri”. Un po’ poco per giustificare tanta clemenza dell’Autorità nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo”. Crediamo che la questione meriti grande attenzione: dovrebbe stimolare una riflessione critica, seria, anzitutto da parte dell’Agcom.

L’Autorità dovrebbe porre questa tematica tra le proprie priorità di agenda, ma andando ben oltre la redazione di documenti inutili come il “Libro Bianco Media e Minori” (in argomento sulle colonne del mensile “Millecanali”, nel gennaio 2014, abbiamo pubblicato un articolo intitolato non a caso “500 pagine di ricerca scritte sulla sabbia?”). E cosa sta producendo l’“Osservatorio permanente delle forme di garanzia e di tutela dei minori”, istituito da Agcom?! Non è dato sapere.

Perché è stata l’Aiart (non a caso) e non l’Agcom a promuovere una ricerca in materia di tutela di tv e minori, a livello comparativo europeo?! Si tratta dello studio “Il ‘caso’ Italia. I media e la tutela dei minori nei principali Paesi europei”, coordinato da Luca Borgomeo e Paolo Celot, presentato a Matera a fine ottobre dell’anno scorso. Alla presentazione, è intervenuto il Commissario Antonio Preto, che ha sostenuto che “il Codice Media e Minori, pur con luci e ombre, ha dato risultati soddisfacenti anche perché le scelte valoriali che ne costituiscono la base sono sostanzialmente condivise dalle emittenti tv”.

 
Se Preto è soddisfatto (e con lui certamente i broadcaster), molti altri non lo sono.

Da notare peraltro che la ricerca Aiart è stata incredibilmente segnalata da “Avvenire” soltanto, tra i quotidiani italiani. Curioso caso di autocensura da parte dei media su una tematica “sensibile” per broadcaster televisivi ed investitori pubblicitari?!

Perché chi è preposto a studiare ed a vigilare (l’Agcom) continua ad essere inadempiente rispetto a tematiche così delicate?!

E cosa pensa l’Agcom di quanto è emerso durante la gestazione del nuovo Regolamento Europeo “Privacy” dell’Unione Europea (pacchetto di norme su cui è stato trovata l’intesa tra Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo), ovvero dell’ipotizzato divieto di accesso agli “under 16” rispetto a qualsiasi servizio “online” senza il consenso dei genitori?

Il Regolamento è stato approvato il 20 dicembre 2015, quest’emendamento è stato accantonato, ma la questione resta però di estrema attualità.

Cosa pensano il presidente Cardani e cosa pensano i quattro altri commissari dell’ipotizzata imposizione di un limite di età per entrare di diritto nella nuova era digitale fissato in 16 anni, che avrebbe determinato che – senza il consenso preventivo dei genitori o di chi ne esercita la patria potestà – gli “under 16” non avrebbero potuto usare Facebook e gli altri social network?

Saggia decisione lungimirante o eco di un medioevo analogico (vedi alla voce “censura” cinematografica preventiva)?!

Questa recente provocazione europea avrà rappresentato una scossa per destare l’Agcom dalla sua infinita sonnolenza, su queste delicatissime questioni?!
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