I circuiti della comunicazione e dell’informazione

da Il Telespettatore n. 1-3 2024.
I media, a caccia di audience, cedono alle logiche dei social e l’informazione si fa intrattenimento. Con effetti devastanti: dalla distorsione della realtà alla polarizzazione. Il lavoro dell’Unione Cattolica Stampa Italiana per un giornalismo costruttivo.

I circuiti della comunicazione e informazione possono essere generativi o degenerativi.
Sono generativi quando aiutano la persona e le relazioni tra persone a crescere. Sono degenerativi quando impoveriscono la persona e inaridiscono, anziché nutrire, le relazioni. Social come Facebook, che hanno condizionato in modo significativo lo sviluppo della nostra socialità e delle nostre relazioni, compiono vent’anni e sono giudicati, almeno dalle nuove generazioni, già vecchi. Invecchia rapidamente anche un altro social – stessa proprietà – come Instagram, e stessa sorte toccherà a breve per l’ultimo arrivato, Tiktok.
C’è una rincorsa generazionale: appena un adulto riesce a mettersi in sintonia con un social, i ragazzi ne escono. Non è un caso.
Nell’informazione si vive una rincorsa simile, con il risultato che giornali e tv, rincorrendo i social, hanno perso la loro identità, e con questa, anche la credibilità e la fiducia dell’opinione pubblica.
I social costituiscono uno degli effetti del 2.0, una possibilità offerta a tutti, apparentemente gratis, di esprimersi attraverso canali che, potenzialmente, tutti possono seguire. Prima si poteva parlare, scrivere, lettere, email… dai primi anni del nuovo secolo è nata questa opportunità straordinaria. Addirittura c’è chi ha posto il problema che questo ‘potere’ potesse sostituire la necessità di un giornalismo professionale. Questo dubbio è rientrato abbastanza presto, perché, quando tutti dicono tutto, non si sa più di chi e di cosa fidarsi.
L’effetto distorsivo però c’è stato, perché i social sono comunque diventati fonte per un giornalismo che proprio la rete ha fatto diventare ossessivo, per velocità, tempi di verifica, e così via.
L’avvento dei social ha drogato l’informazione e costretto i giornalisti a rincorrere questa che, comunque la si metta, è diventata una fonte importante. Oggi i media non vanno più a casa delle famiglie delle vittime a chiedere una foto, la cercano su fb, a volte sbagliando anche bersaglio, perché la vita è molto spesso più fantasiosa della creatività umana. Ci sono sosia, profili simili, o fake, omonimie, etc.
Era fisiologico che il giornalismo entrasse in crisi e che questo rincorrere i social abbia portato poi non solo a una distorsione, ma anche a una nuova, non virtuosa, vita di questa professione. Prime pagine, aperture tg forzatamente inchiodate su un fatto di cronaca che viene mediaticamente esaltato, rientri senza notizie che durano per settimane, con una coda permanente sui talk di tutte le reti, pubbliche e private, in cui fatti e personaggi vengono anatomizzati all’esasperazione.
Si crea così una catena mediatica estenuante, tra giornali, periodici, testate on line, televisive, in cui ogni redazione gioca ad arrivare per prima, anche a costo di superare la realtà, offrendo certezze inesistenti. Informazioni acchiappaclick prive di reali fondamenti, titoli strillati che non trovano poi corrispondenza nei testi. Spesso, chi vuole usare il rigore, chi desidera usare il rigore, è costretto ad alzare le braccia, si dichiara sconfitto. La gente per un po’ resta incollata agli schermi di tv e cellulari, ma il giudizio sul prodotto è netto, e non certo positivo.
Decine di anni fa il cardinal Carlo Maria Martini lo aveva detto, scrivendo “Il lembo del mantello”: “attenti, l’informazione urlata sul momento sembra pagare, ma poi allontana lettori e ascoltatori”. Un richiamo rimasto abbastanza inascoltato. I giornali e i tg inseguono i talk nei quali i giornalisti la fanno comunque da padroni, entrando in questa melassa dove la notizia sembra perdersi in narrazioni fortemente romanzate che tra l’altro costringono gli spettatori a entrare in una dinamica polarizzante in cui il pubblico è costretto a schierarsi, fra colpevolisti e innocentisti, per quel che riguarda la cronaca, e fra schieramenti, se si parla di politica. Il giornalismo, tuttavia ha un importante ruolo di intermediazione. Quando l’informazione rischia di confondersi con l’intrattenimento e il pubblico non solo ne esce confuso, ma anche irritato, è evidente che si impone una serie di riflessioni..…….continua sul numero del Il Telespettatore 1-3, 2024.