Dalla mondovisione all’endovisione. L’Aiart riflette sui cambiamenti che hanno caratterizzato lo spazio televisivo nell’ultimo mezzo secolo.
25 giugno 1967: si accende il satellite nei cinque continenti (26 paesi circa) con Our World, prima produzione televisiva in diretta. I Beatles, Maria Callas, Pablo Picasso, solo per citarne alcuni, entrarono così nelle case di circa settecento milioni di telespettatori con le loro produzioni e i loro racconti per circa due ore e mezza di trasmissione. Il progetto, pensato dalla BBC in collaborazione con l’European Broadcasting Union, è stato realizzato in dieci mesi di lavoro e ha visto il coinvolgimento di circa diecimila tra tecnici, produttori e interpreti. Per l’occasione i titoli di testa furono stati accompagnati dal tema Our World cantato in 22 lingue diverse dai Piccoli Cantori di Vienna e la CBC Television Canada intervistò il guru dei media studies Marshall McLuhan in una sala di controllo della televisione di Toronto. Da quel momento in poi, la televisione introdusse – come affermò il filosofo Derrida – con più forza «a ogni istante nello chez moi l’altrove e il mondiale». Ciascun telespettatore, infatti, si trovò proiettato insieme agli altri in un medesimo luogo che differisce da quello abitato permettendo ai soggetti di raggiungere in tempo reale uno spazio di suoni e immagini di cui, seppur distanti, si diviene testimoni diretti.
Nel 50° anniversario di questo primo esperimento in mondovisione, l’Aiart, l’associazione dei telespettatori e dei cittadini mediali, ha provato a riflettere su come è cambiato il modo di fare televisione a partire da quell’evento e come sono mutate le esperienze della visione. Lo ha fatto attraverso la recente pubblicazione del volume “Dalla mondovisione all’endovisione. Pratiche e formati dello spazio televisivo” curato da Massimiliano Padula e Giovanni Baggio (rispettivamente presidente e vicepresidente nazionale dell’Aiart) ed edito da Ets.
Lo studio, che inaugura la collana associativa “La Parabola”, raccoglie una serie di contributi che esplorano il legame tra visione e ambiti dell’esistenza indagando, altresì, i nuovi paradigmi della visione rimodulati dalla cultura digitale.
«La struttura del libro – spiega Massimiliano Padula – prevede una prima parte di inquadramento teorico relativo all’evento-mondovisione che, attraversando la “televisione degli inizi”, ripercorre i cambiamenti prodotti non solo in ordine al modo di “fare” e “vedere” la tv, ma più in generale al rapporto mondovisione-globalizzazione: si pensi al giornalismo che esce fuori dalle redazioni e consente all’utente di partecipare “in diretta” alla notizia nel dispiegarsi del suo accadimento o ancora allo sdoppiamento della sfera pubblica che diviene – spiega il massmediologo Enrico Menduni nel primo contributo del volume – al contempo mediale e social e in cui ciascuno può farsi media. Nello stesso tempo il libro – aggiunge il Presidente dell’Aiart – si concentra sulla contemporaneità digitale e sulla centralità che in questo scenario mantiene la visione. Nel suo saggio, Filippo Ceretti introduce il neologismo “endovisione” (la visione interiore e personalizzata dei contenuti prodotti dai media e veicolati dai dispositivi digitali) delineando un quadro possibile delle modalità di visione nell’epoca dei media digitali.
Questa pubblicazione – conclude Padula – sarà la prima di una serie di strumenti editoriali che l’Aiart metterà a disposizione di tutti e di ciascuno per riflettere e riflettersi e per contribuire a costruire (e formare) una cittadinanza mediale cosciente e responsabile».
Presidenza Aiart – Associazione cittadini mediali
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