CONTROLLARE ≠ EDUCARE

di Pier Cesare Rivoltella
da https://rivista.vitaepensiero.it
immagine www.ufficiostampa.provincia.tn.it

Chi si occupa di Media Education sa bene cosa sia l’approccio inoculatorio, quando si parla del rapporto tra i media e i minori. È l’atteggiamento di quell’adulto che, convinto del potere dei media e altrettanto convinto che i ragazzi da soli non possano contrastarlo, prova lui a limitare i danni attraverso dispositivi di protezione.

La metafora è clinica e risponde all’altra metafora clinica – quella dell’ago ipodermico – con cui la teoria dei media, a partire dagli anni Venti, si è rappresentata gli effetti forti dei media. Se i media, come un ago infilato sotto la pelle, iniettano comportamenti e valori nei loro destinatari, allora, per contrastarli, non resta altro da fare che iniettare sotto la pelle un vaccino che li possa in qualche modo bloccare. La convinzione alla base è la stessa: il potere dei media è grande e lo si può contrastare solo proteggendo.

Mi viene sempre in mente questa immagine ogni volta che, ciclicamente, si ripropone il tema del controllo come ipotesi di soluzione ai rischi dei media. Ed è questo il caso del servizio Family link di Google: ennesima versione di uno strumento di Parental Control che propone al genitore una soluzione tecnologica per limitare i rischi in cui il figlio potrebbe imbattersi.

Le considerazioni da fare al riguardo sono diverse.

La prima è relativa alle preoccupazioni educative di Google. È interessante che chi detiene i dati di oltre due miliardi di persone e in virtù di questo vola in Borsa e può prevedere dove vadano desideri e tendenze dell’umanità, poi si preoccupi che i più piccoli navighino protetti. Non è che anche Family link, alla fine, non serva a sapere cosa vorrebbero fare in rete? Quel che voglio dire è che sono diversi i segnali del fatto che il capitalismo digitale si preoccupi del problema educativo forse proprio per convincerci che il problema stia nel regolare l’accesso, nel far mavigare sicuri i più piccoli. E così non ci interroghiamo sull’uso dei dati che quotidianamente gli regaliamo.

Seconda considerazione. L’esperienza e la ricerca insegnano che ogni pretesa di controllo tecnologico sugli usi di una tecnologia che è delocalizzata e delocalizzante sono destinati a fallire. Siamo proprio sicuri che il servizio non sia riprogrammabile? E se anche fosse a prova di giovane hacker e quindi ne bloccasse la navigazione, sarebbe sufficiente cambiare macchina o chiedere a un amico. Quel che voglio dire è che nella società informazionale, una società in cui l’informazione è dappertutto e il sistema delle relazioni tra pari, nei cosiddetti “terzi spazi”, la fa da protagonista, sperare di controllare l’accesso di qualcuno alle informazioni è un’illusione. Google non può non saperlo: è che in questo modo tranquillizza i genitori e si garantisce una facciata di responsabilità sociale.

Da ultimo, controllare non è educare. Mai. Se decido di controllare mio figlio, se ritengo che questo sia l’unico modo per tenerlo al sicuro dai rischi della Rete, ho almeno due problemi. Il primo, il principale, è che questo significa che ho provato a educare ma non ci sono riuscito. Il controllo è sempre il risultato di un fallimento o della consapevolezza di un’incapacità educativa. Certo, il controllo non va confuso con il governo……continua a leggere su rivista.vitaepensiero.it