Colori per percepire (e superare) i limiti
Dalla ricerca fotografica sulla realtà urbana che ci circonda (manifesti pubblicitari decomposti, crepe, graffi e corrosioni industriali) a una esperienza di “didattica della percezione” con protagonisti bambini portatori della sindrome dello spettro autistico.
di Roberto Alborghetti
da Il Telespettatore
Fin dai primi passi del cammino dell’umanità, c’è sempre stato chi ha cercato di leggere le nuvole, il cielo, le stelle, i “segni” e i colori della terra. Tale necessità, nel corso dell’evoluzione umana, si è accentuata in sintonia con le domande del nostro mondo interiore, sempre proiettato all’esterno e in costante ricerca di risposte, certezze, sicurezze e spiegazioni. Leonardo Da Vinci consigliava ai suoi allievi di osservare attentamente le macchie sui muri sporchi, oppure di scrutare le pietre marmorizzate, per percepire e vedere paesaggi, luoghi, scenari di battaglie, figure e sagome. In pratica, Leonardo suggeriva di prendere parte a quello che oggi possiamo definire il “gioco” della percezione e della proiezione. Fu come un precursore della moderna esperienza dei “test” come strumenti psicodiagnostici che consentono di sviluppare la nostra interiorità attraverso stimoli esterni. Ecco, il mio progetto-ricerca “Lacer/azioni” deve molto alle lezioni che Leonardo impartiva ai suoi allievi. È una esperienza didattica che invita a vivere le proprie percezioni, che muovono dai colori del mondo reale, per dar vita a un processo creativo in cui l’immagine e la parola si integrano nel linguaggio cromatico.
Che cosa serve? Molto semplice: una fotocamera. Ma nelle attività scolastiche torna utile l’amato-odiato smartphone, il cui uso va sicuramente armonizzato nelle attività didattiche, anche con la finalità di conoscere meglio un dispositivo che non serve solo per le chat o “per stare sui social”. Poi, serve la voglia di osservare e, appunto, di percepire cosa c’è attorno a noi. C’è una dimensione affascinante, quella dei colori, che cerco di documentare attraverso gli scatti della macrofotografia di strada che mi ha visto “catturare” finora, in giro per il mondo, oltre 150 mila immagini. Spesso condivise in rete, in mostre e in classe, le macrofoto presentano ed indagano la decomposizione della carta dei manifesti pubblicitari, la corrosione dei materiali urbani, le crepe e i graffi che si formano spontaneamente sui muri delle città, come quelle “macchie” indicate da Leonardo. Sono immagini casuali e spontanee che – trasferite su tela, stoffa o altri supporti – sono scambiate facilmente per opere dell’impressionismo o, dice qualcuno, come “espressioni dell’arte informale” (Andreas Keller, storico e filosofo tedesco).
Indimenticabile, tra le esperienze vissute in questi anni, il “laboratorio del colore e delle emozioni” che ha coinvolto ad Aprilia (Latina) un gruppo di ragazzi portatori della sindrome dello spettro autistico, per la quale il 2 aprile di ogni anno ricorre la “Giornata mondiale di consapevolezza”. L’idea era partita da una docente, Patrizia Sapri, che aveva partecipato agli workshop didattici promossi nell’ambito della mostra “Colori di un’Apocalisse” che avevo tenuto nella medioevale Rocca Aldobrandesca di Piancastagnaio, sul Monte Amiata. Patrizia, insegnante coinvolta nelle tematiche del “colore” come recupero e potenziamento delle abilità di base residue ed esistenti, era rimasta impressionata “dal mio modo di leggere e raccontare la realtà, che è sotto i nostri occhi, ma che spesso non vediamo e percepiamo”. Riteneva che nelle immagini fotografiche che avevo scattato, ci fossero materia, movimento ed emozione: insomma, tutto ciò che le serviva nel contesto delle attività didattiche ed educative portate avanti ad Aprilia da Sapis (un consorzio municipale per i servizi a favore della disabilità).
Mi chiese di collaborare. Accettai senza esitazione. Mi affascinava il progetto che, nelle ore pomeridiane, avrebbe coinvolto alunni portatori della sindrome autistica. I ragazzi, dopo l’osservazione e la discussione sulle “emozioni” suscitate dalle varie immagini, sarebbero poi stati invitati a riprodurle in piena libertà e sulla base del proprio “vissuto”. L’iniziativa aveva il supporto e la collaborazione dei genitori, del personale di assistenza specialistica e dell’associazione “Il senso della vita Onlus”. Avevo già avuto modo, in passato, di partecipare, con i miei lavori, ad alcuni laboratori sulla percezione sinestetica e su come i colori possono essere vissuti sul piano dello sblocco emotivo. Nell’esperienza di Aprilia mi interessava il coinvolgimento di persone autistiche e del loro mondo, che spesso consideriamo “misterioso”.
I cromatismi di “Lacer/azioni si sono subito prestati ad essere “rivisti” con gli occhi della sensibilità e delle abilità percettive. Nell’”Atelier dei colori e delle emozioni”, i piccoli si rimboccarono letteralmente le maniche. Le “lezioni” erano scandite da brani musicali, che – insieme alla verbalizzazione – accompagnavano la fase della ricreazione delle mie opere fotografiche, eseguite manualmente, impiegando e riciclando oggetti e materiali vari. Ne uscirono delle singolari opere, semplici solo in apparenza, dal forte impatto visivo ed emotivo, che risultavano ancora più singolari in quanto espressione del mondo interiore di ragazzi le cui difficoltà sono spesso etichettate in modo errato, distorto e superficiale.
Durante le ore di laboratorio i ragazzi solcavano con occhi e con le mani l’interno delle varie immagini, aprendo quella comunicazione, anche non verbale, che è dentro ed intorno a noi. Alla fine, rimanevano dei “fogli”, stupende opere creative che racchiudevano un mondo interiore, da esplorare e conoscere, tra cromatismi e forme, scandite da parole pronunciate ad alta voce. Per il piccolo Erik, io ero “Berttto”: così pronunciava il mio nome. E davanti al cavalletto, dove andava riproducendo una fotografia di “Lacer/azioni”, le frasi si liberavano: “Bertto, molto bello! Fatto io! Ho fatto il pittore!… Pitturo da su a giù. Porto a mamma!”. Massimo creava con la supervisione verbale. Comunicava, attraverso i colori, emozioni e stati d’animo. In questi ragazzi emergevano, come mi faceva notare Patrizia Sapri, la completezza di una visione d’insieme e la capacità di leggere le immagini nella globalità, mettendo a fuoco ogni particolare, proprio come una macchina fotografica. E proprio come faccio anch’io nella ricerca di “Lacer/azioni”: scoprire, osservare, comunicare. Forse, anche per questo, i piccoli scolari di Aprilia erano subito entrati nella dinamica e nel senso delle macro immagini trovate sui muri di strade e piazze, dunque presenti nell’immaginario collettivo, anche a livello di percezione inconscia. L’iniziativa venne ripetuta per più anni, anche con il sostegno del Rotary Club Roma Golfo d’Anzio di Nettuno, per il progetto “Anzio per l’Autismo”. Anche in tempi recenti, Patrizia Sapri ha guidato con passione ed entusiasmo un gruppo di “magnifici sette mini artisti”che, ispirati da“Lacer/azioni”, hanno ricomposto e ricostruito artwork di grande effetto. Le attività si sono sempre chiuse con una mostra tra “cromatismi speciali pittorici e materici” per narrare una singolare e straordinaria storia di vita. Segni e graffi che raccontano vicende dell’anima.
In questa esperienza ho vissuto aspetti e realtà che la stessa letteratura sull’autismo ha analizzato e studiato. Anche nei libri – come quelli di Temple Grandin – i ragazzi autistici sono descritti come diamanti dalle mille sfaccettature, dotati di grandi abilità motorie, ampia capacità di memorizzare procedure e rituali, incredibili abilità di cogliere e valorizzare colori emergenti, le mille sfumature. Sì, la psicologia del colore. Come rilevano gli studi di Grandin e Gardner, nella società umana esistono intelligenze diverse, di pari valore culturale. Laddove sono presenti capacità residue legate ad un “deficit” si vengono a sviluppare abilità che diventano canali elettivi di lettura del reale. Anche nel laboratorio di Patrizia Sapri si parte dalle risorse della persona per svilupparne le potenzialità residue. Ossia, se ne considerano le capacità per ampliarle, ricercando un rapporto significativo attraverso la percezione del colore: ciò permette di avvalorare la crescita emotiva e relazionale. Sicché – come questa esperienza mi suggerisce – i limiti si trasformano in capacità espressive, in comunicazione, in arte. Patrizia Sapri e la sua equipe dicono che le mie “Lacer/azioni” si prestano a tutto ciò. “Perché?”. E lei: “Forse sarà la casualità e la naturale presentazione dei colori, dei graffi e delle crepe. Ma in fondo non c’è un perché. È così. Non c’è un perché”. Penso abbia proprio ragione.