Bufale: l’informazione al tempo della post-verità
(di Vincenzo Marinelli) “Energia elettrica gratis”, “Ricariche per cellulare Gratis”, “Allerta meteo e scuole chiuse” ecc.
Ci sarà certamente capitato di ricevere notizie attraverso i social da amici fidati che, in buona fede e con il fine di renderci subito partecipi di notizie esclusive, ci abbiano invece inoltrato le cosiddette bufale (ingl. hoaxes) o fake news. Gli esempi si potrebbero estendere all’ infinito in tutti gli ambiti della nostra vita: da quello culinario a quello scientifico, da quello politico o religioso alla salute. Il fenomeno bufale non è come potrebbe sembrare, una produzione goliardica e ironica che mette alla prova la nostra intelligenza o la nostra sensibilità su alcuni argomenti. È un fenomeno che ha preso sempre più piede generando non solo un incredibile volume di notizie false, ma ancora di più ha dato origine a confusione e disagio in alcune situazioni delicate, come le false allerte meteo.
Il fenomeno pone dunque alcune questioni che necessitano di analisi e di riflessione: perché le bufale riescono ad avere tanta diffusione? Quali meccanismi si nascondono dietro una bufala? C’è qualcuno che dovrebbe vigilare sulla loro diffusione?
L’ Oxford Dictionaries ha definito che la “parola dell’anno 2016” è post-verità. Un concetto nuovo che si fa interprete del paradigma culturale della post-modernità. Solitamente il termine “post” ha un valore temporale e si associa ad un evento già accaduto per indicarne il periodo di tempo immediatamente successivo, ad esempio post-guerra o post-concilio. Post-verità invece, non sta ad indicare una verità successiva ad una precedentemente affermata, ma la relativizzazione del concetto stesso che si afferma. Più precisamente l’Oxford Dictionaries afferma: “Relating to or denoting circumstances in which objective facts are less influential in shaping public opinion than appeals to emotion and personal belief (relativo a, o che denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali’). Dunque quando si parla di post-verità non è il fatto in sé che conta, ma la nostra percezione del fatto o le nostre convinzioni riguardo ad esso.
Non stupisce di conseguenza, il fenomeno bufale. La loro diffusione è alimentata dall’eco che la notizia ha sulle nostre convinzioni più che sull’effettività della stessa. Segnale questo di un’alterazione psicologica generata dal continuo flusso mediatico di cui siamo continuamente oggetto-soggetto che ci induce a comunicare maggiormente sulla base di quello che avvertiamo come emotivamente significativo?
Walter Quattrociocchi, che si occupa dello studio quantitativo della circolazione dell’informazione online afferma che “il principale determinante che guida la selezione dei contenuti online e dell’interpretazione dei fatti è il cosiddetto confirmation bias, o pregiudizio di conferma”. Dunque le notizie che selezioniamo o diffondiamo in rete sono una raccolta di conferme rispetto a qualcosa già ritenuta vera. Veniamo pertanto a collocarci in echo chambers (camere dell’eco), o filter bubble (bolla di filtraggio di contenuti o gabbia di filtri), luoghi dove ci sottoponiamo o entriamo in contatto con informazioni che già desideriamo conoscere.
Gli studi di Quattrociocchi non solo rivelano quanto sia difficile ogni operazione di debunking, l’azione di confutazione di quanto già selezionato come credibile per sé, ma quanto gli stessi strumenti di fact checking, controllo dell’autenticità dei fatti, non siano attendibili. Ne è un esempio l’algoritmo introdotto da facebook contro le fake news il 15 dicembre 2016 che tuttavia non ha riconosciuto come bufala la notizia di un’esplosione a Bankok (in verità trattasi della semplice esplosione di un petardo) attivando il safety check, strumento che il social fornisce per contattare amici e parenti coinvolti in casi di emergenza o calamità naturali.
A queste criticità si aggiunge l’ulteriore fenomeno del clickbait che vive anche della diffusione di bufale e che allarga la questione anche alla dimensione economica. Il clickbait è l’operazione mediatica attraverso cui i siti di news esasperano la titolazione delle notizie creando nei lettori aspettativa e curiosità sul contenuto effettivo delle notizie. In tal modo, attraendo il lettore, aumenta di conseguenza il numero dei visitatori sulla pagina, numero che a sua volta diventa criterio di investimento degli inserzionisti.
Necessiterebbe ulteriore spazio per illustrare le ricadute e le connessioni con il mondo dell’editoria, ma concludiamo lasciando aperte alcune questioni etiche importanti: quali sono i processi di costruzione dell’ identità nell’era della post-verità? Può l’uomo maturare la sua identità relativizzando la verità e chiudendosi all’apertura ad essa, rimanendo nelle proprie echo chambers? Quali relazioni, quale società è generata da una comunicazione dove il presupposto dell’informazione non è più né la qualità né la verità? Infine, qual tipologia di authority dovrebbe vigilare sui nuovi scenari aperti dall’era della post-verità?