Se il 5G fosse un farmaco
“Se si volesse introdurre in commercio un nuovo farmaco bisognerebbe superare un complesso iter di valutazione di circa un decennio, necessario alla luce dell’ancora valido “primum non nocere”. Certo, il 5G non è un farmaco, anche se qualcuno ha deciso per noi che migliorerà la nostra qualità di vita”. Ma se il 5G fosse stato un farmaco, proprio a causa delle evidenze disponibili su quegli effetti biologici non avrebbe superato neanche la fase di valutazione preclinica”. Questa l’iniziale premessa di Agostino Di Ciaula, Presidente del Comitato Scientifico ISDE (International Society of Doctors for Environment), sulla rovente rivoluzione in arrivo.
di Agostino Di Ciaula
Presidente del Comitato Scientifico ISDE (International Society of Doctors for Environment)
da Il Telespettatore N° 8/10 2019
La crescita dell’esposizione a radiofrequenze(elettromagnetismo ad alta frequenza) è proporzionale a quella delle pubblicazioni scientifiche sulle possibili conseguenze sanitarie e ai timori dell’opinione pubblica.
Le evidenze sulla relazione tra cellulari e neoplasie si sono recentemente arricchite di importanti contributi epidemiologici e sperimentali, questi ultimi soprattutto grazie all’Istituto Ramazzini in Italia e al National Toxicology Program negli USA. Il cancro da cellulari, tuttavia, è solo un dettaglio di un quadro molto più complesso.
I rischi da esposizione cronica, infatti, comprendono anche ben documentate alterazioni riproduttive, neurologiche, metaboliche, microbiologiche, con ricadute molto più ampie rispetto al cancro. A fronte di questo, la normativa appare inadeguata a tutelare efficacemente la salute pubblica, perché fondata su standard internazionali (ICNIRP) che considerano la sola possibilità di generare effetti termici (riscaldamento dei tessuti) per esposizioni acute, ignorando arbitrariamente effetti biologici, esposizioni croniche e pubblicazioni scientifiche che documentano effetti negativi anche per esposizioni uguali o inferiori ai limiti vigenti.
Tale inadeguatezza è ancora più eclatante per il 5G, che vedrà una disseminazione capillare di piccole antenne (“small cells”) in aggiunta all’esistente, l’integrazione di diverse bande di frequenza (tra le quali le onde millimetriche, mai utilizzate prima in maniera così ampia), nuove modalità di trasmissione/ricezione e, secondo stime AGCOM, circa un milione di dispositivi connessi per Km2.
Nel corso di un’audizione parlamentare sul 5G, ISPRA segnala “la carenza di riferimenti tecnici anche internazionali, per cui andranno previste nuove modalità di esecuzione delle misure… e nuove procedure di valutazione per l’autorizzazione dei nuovi impianti poiché la natura stessa della trasmissione comporta lo studio di un assetto complesso e dinamico dei diagrammi di radiazione”.
In un recente rapporto (“ISTISAN 19/11”), anche l’Istituto Superiore di Sanità ritiene la normativa vigente inadeguata per il 5G: “al fine di valutare correttamente l’esposizione occorrerà…considerare non solo i valori medi di campo elettromagnetico, ma anche i valori massimi raggiunti per brevi periodi di esposizione. Tale aspetto richiederà un adeguamento della normativa nazionale”.
Il rapporto ISTISAN porta a conclusioni rassicuranti sull’esposizione a radiofrequenze ma, non considerando i possibili effetti non oncologici e pur descrivendo limiti normativi, gaps conoscitivi e una possibile maggiore vulnerabilità in età pediatrica, non indica come utilizzare questi elementi a fini di tutela sanitaria.
L’implementazione del 5G potrebbe vedere sommarsi, ai rischi esistenti, quelli da esposizione a onde millimetriche. Queste sono in grado di stimolare la proliferazione cellulare e di alterare alcuni meccanismi funzionali delle cellule, di alterare l’espressione genica e di indurre aneuploidia e alterazioni cromosomiche, eventi predisponenti alla trasformazione maligna. È stato suggerito che i limiti vigenti non sarebbero neanche in grado di evitare pericolosi effetti termici in seguito a esposizione prolungata a onde millimetriche.
I timori sui possibili effetti sanitari, inoltre, non sono gli unici. Sono stati documentati effetti sugli insetti (compresi quelli “utili” come le api) e sul mondo vegetale, interferenze con le capacità di previsione di eventi meteorici avversi (ad es. uragani) e, non ultimo, rischi per la tutela dei dati personali, della privacy e persino, come è stato riferito nel corso di un’altra audizione parlamentare da Gennaro Vecchione, direttore del dipartimento di informazioni e sicurezza, per la “sicurezza nazionale”.
Tutto questo ha indotto lo SCHEER (Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks), commissione tecnico-scientifica della Comunità Europea, a inserire nel report di Dicembre 2018 il 5G tra i 14 massimi fattori di rischio emergenti per la salute e l’ambiente, in considerazione delle possibili e parzialmente imprevedibili conseguenze su ecosistemi e specie differenti. Tra inadeguatezze normative, evidenze scientifiche ignorate o sottovalutate e mancanza di informazioni evidentemente declassificate come irrilevanti, si è già svolta una “sperimentazione” 5G che ha interessato circa 4 milioni di italiani e si sta procedendo speditamente verso l’implementazione e la commercializzazione del 5G su tutto il territorio nazionale. Nessuno vuole impedire il progresso tecnologico ma questo non può realizzarsi sacrificando la prudenza per soddisfare interessi commerciali. Le evidenze e le incertezze esistenti avrebbero dovuto imporre un adeguato approfondimento preliminare all’impiego su larga scala del 5G e la disponibilità di adeguati strumenti normativi e di monitoraggio preliminare all’implementazione di questa nuova infrastruttura, la cui realizzazione appare dunque pericolosamente prematura.