Collateral Beauty: quando la scena incontra la vita
(di Sara Lucariello) Si riaccendono le luci in sala e spontaneamente sorge in me una domanda: dov’è la bellezza collaterale nella mia vita?
Nel corso del film questo impetuoso sentire che fa rimbalzare prepotentemente lo spettatore tra le tracce dell’esistenza dell’altro passa attraverso il lutto di un uomo che deve fare i conti con la morte della piccola figlia, e che va inevitabilmente a condizionare la vita di tutte le persone che gli girano intorno. Primi fra tutti i suoi colleghi e amici che cercano di salvare le sorti dell’agenzia in cui lavorano e in qualche modo di dare uno scossone alla vita di quest’uomo completamente bloccato dalla morte. Infatti, ingaggiano tre attori, per interpretare i tre concetti astratti a cui lo sventurato aveva scritto lettere di protesta: “amore”, “tempo” e “morte”. Quasi in stile pirandelliano, la trama della storia risulta essere un interessante intreccio tra finzione e realtà, facendo dubitare, alcune volte, del piano sul quale si sta svolgendo la storia. Ad uno straordinario Will Smith che, si conferma, un’interprete intenso anche rispetto alla sofferenza e al dolore della perdita, si associano alcuni personaggi secondari (ma non troppo) interpretati da attori sorprendenti e di significativo apporto tra cui Edward Norton, Keira Knightley, Kate Winslet, Hellen Mirren.
I temi che vengono affrontati per quanto non semplici da trattare, sono interpretati in maniera non banale e scontata:
Il tempo assume un valore diverso dal solito, il messaggio trasmesso sembra essere che ognuno ha bisogno del suo tempo: anche se a volte è troppo lungo, anche se non è conforme con i ritmi da noi desiderati, anche se sembra troppo poco per realizzare i nostri piani. Come l’essere troppo grande per avere un bambino, oppure come aver passato poco tempo con i propri affetti e sentire il termine della vita avvicinarsi.
L’amore assume la forma di dimensione tormentata, è un amore che, essendo stato tradito, non vuole più mettersi in gioco, non ha più voglia di riscoprirsi ma, non si rende conto che, per quanto non si voglia amare, l’amore è ovunque e non ci si può liberare di esso.
Il rapporto con la morte può essere racchiuso in due scene: la prima in cui il protagonista fa una serie di citazioni rispetto al concetto della morte in letteratura e conclude il monologo esprimendo il fatto che alla fine di tutto, oltre le belle parole, nella concretezza dei fatti la figlia non c’è, non è presente lì con lui in quel momento e quindi il vuoto e il dolore lasciato è qualcosa di incolmabile; la seconda scena significativa è quella verso la fine del film in cui il protagonista riuscendo a nominare il nome della propria bambina sembra superare l’accaduto, riprendendo il concetto per il quale dando nome alle cose si riesce a portarle in vita.
Ciò si intreccia perfettamente tra la vita del protagonista e quella dei suoi amici dai quali era partita tutta la messa in scena sulla quale si basa il film. La bellezza collaterale deriva dal compiere delle scelte che, in modo inconsapevole e inaspettato, vanno ad influire sulla vita degli altri. Significa poter pensare al peso delle proprie scelte, a quei piccoli dettagli che ti permettono di comprendere che, forse, non tutto è casuale. Sul prendere consapevolezza che ogni cosa ha una ripercussione sulla realtà circostante ma, soprattutto, sui rapporti che viviamo. È all’interno delle nostre relazioni che possiamo osservare ed apprezzare la bellezza collaterale che è nelle persone che incontriamo e nei rapporti che costruiamo. Tutto ciò passa attraverso le tre grandi entità che vengono nel film trattate (amore, tempo, morte) e che rappresentano anche le tre grandi paure e le tre grandi domande sulle quali da sempre l’uomo ragiona e cerca di trovare una risposta.
Il finale risulta essere inatteso e allo stesso tempo aperto all’orizzonte della speranza, e anche se l’intreccio narrativo può risultare condito da alcuni espedienti già visti, ciò che più colpisce è che l’intera sala sembra condividere l’emozione della riscoperta del “dono” di questo “profondo contatto con le cose” che abita la vita di ciascuno.
Ci sono prove alle quali il cuore cede ma nell’incontro e nell’innesco con la storia e la vita dell’altro esso può recuperare e generare a sua volta bellezza: a ciascuno il compito di rintracciarla e tenerla d’occhio!