Rai, la sfida del rinnovamento
Intervista di Marco Galluzzo a don Ivan Maffeis dal sito dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI tratto dal “Corriere della Sera” del 3 gennaio 2016.
«Sicuramente esiste un degrado etico che innanzitutto squalifica chi ne è autore. E che poi, purtroppo, in un’epoca digitale come la nostra, dove i mezzi di comunicazione si intrecciano, finisce con il “contaminare” contesti e formati che hanno tutt’altro fine e obiettivo».
Don Ivan Maffeis, responsabile della comunicazione della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani, fa una riflessione che distingue da una parte il mezzo tecnico, l’integrazione di piattaforme diverse e dall’altra il ruolo e le funzioni che la nostra televisione pubblica, la Rai, dovrebbe svolgere.
Un sms con una bestemmia è anche il frutto dei nuovi mezzi digitali?
«Sicuramente la piattaforma digitale offre enormi possibilità di comunicazione, ma accanto a tante potenzialità di espressione ci si accorge da una parte che c’è un aumento di lavoro, dall’altra un’accelerazione dei tempi che spesso rende difficile la verifica, o il controllo. E questo è un fatto oggettivo, che constato anche nel mio lavoro».
Controllare il contenuto di un messaggio è un mestiere antico, non moderno.
«Certo, ma i tempi della comunicazione di oggi alla fine richiedono un surplus di preparazione e competenza, che sicuramente non si improvvisa e rispetto alla quale si può essere presi in contropiede. A una frenesia della comunicazione, al dover arrivare per primi, fa da contraltare il rischio dell’errore».
Gli errori della sera di Capodanno sono anche spia di un malessere della tv di Stato?
«In questo caso è certamente facile sparare addosso, a me vien in mente un’intervista che il nuovo direttore generale, Campo Dall’Orto, ha rilasciato proprio al vostro giornale, poco più di un mese fa. Lui stesso ammette che ha trovato una televisione pubblica con ottimi professionisti e risorse ma anche ferma in qualche modo, obsoleta».
Cosa trova lei di obsoleto?
«Credo che la nostra televisione pubblica abbia due facce: ci sono professionisti eccezionali, animati da grande passione, pronti al cambiamento, preparati e nel contempo dei format che sono arrivati al capolinea, spesso volgari, con polemiche costruite ad arte, piazze televisive dove tutti possono vomitare di tutto. E dove dunque la polemica e l’errore sono non solo dietro l’angolo, ma quasi, ineluttabilmente, cercati. Mentre la Rai dovrebbe recuperare un ruolo di alta qualità, come è stato nel dopoguerra, quando contribuì all’alfabetizzazione del Paese».