Scemo? Un’offesa a fin di bene
La campagna pubblicitaria del Ministero della Sanità contro il fumo che l’Organizzazione mondiale della sanità ritiene sia “la più grande minaccia per la salute nella regione europea”. Di Adriano Zanacchi
Nella recente campagna pubblicitaria contro il fumo, promossa dal Ministero della Sanità, si è fatto ricorso all’epiteto “scemo”, messo in bocca, negli spot televisivi e radiofonici, all’attore Nino Frassica. Qualcuno si è adontato, affermando che la pubblicità non deve mai offendere nessuno, per nessuna ragione.
Il caso si presta, effettivamente, a qualche considerazione critica.
Si tratta, anzitutto, di una iniziativa di pubblicità “sociale” o “pubblica” (qualcuno la chiama “pubblicità progresso” dal nome dell’istituto che promuove periodicamente campagne di interesse collettivo); ed è rivolta a contrastare un “vizio” che danneggia, e gravemente, chi fuma, le persone che gli vivono accanto, la sanità pubblica. Le conseguenze del fumo, come è ben noto da tempo, non sono eventuali: sono, purtroppo, certi. E sono, malauguratamente, molto pericolose.
Può essere allora opportuno stabilire se tali conseguenze possono o meno giustificare il ricorso a un epiteto ritenuto offensivo in una comunicazione di tipo pubblicitario non commerciale, avente una finalità eminentemente sociale.
Anni fa, il Giurì dell’autodisciplina pubblicitaria condannò una campagna contro il fumo che aveva come slogan “il fumo è il lento suicidio dei cog…ni”. Si trattava, in effetti, di un termine volgare che ha, da sempre, una valenza fortemente offensiva ed è parso corretto giudicarlo inopportuno, anche se per sostenere una causa di forte valenza socio-sanitaria, benché i vocabolari lo considerino, come aggettivo, corrispondente a “sciocco”, “minchione”, balordo”, …: espressioni meno …forti, anche se talune hanno un’origine volgare.
Altro discorso, invece, è possibile per “scemo” che, oltre ad avere una discendenza etimologica meno … pesante (scemo da scemare), può essere usato anche familiarmente o tra amici in chiave benevola: “via, non fare lo scemo”. Certo, quando si parla dello “scemo del villaggio” ci si riferisce, in genere, a una persona priva di senno, di capacità di giudizio, di intelligenza, da evitare (cosa che, più o meno amichevolmente, potrebbe valere anche per chi fuma!).
Si tratta, allora, di vedere se, e in che misura, il richiamo alla mancanza di giudizio, di intelligenza, di senno si attagli a una persona che fuma abitualmente e se sia corretto usare questo …benedetto aggettivo o sostantivo come espediente utile per convincere (o almeno per aiutare) chi fuma che il suo fumo può nuocere, e drammaticamente, non solo a lui, ma anche ai suoi familiari, ai suoi amici: come diranno tra poco (entro Natale, pare) gli annunci previsti dalle nuove disposizioni in materia di salute che recepiscono una direttiva europea.
A mali estremi, si potrebbe dire, estremi (?) rimedi.
Sono circa 83.000 le persone che muoiono in Italia ogni anno per colpa delle sigarette e del tabacco. L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene che il fumo sia “la più grande minaccia per la salute nella regione europea”. Dire dunque, a chi fuma, “non fare lo scemo!” vuol dire aiutarlo a difendersi da una pratica che, per quanto istantaneamente piacevole, è causa di ictus, di disabilità, di attacchi cardiaci, di morte e che, nel contempo, risulta dannosa per le persone a lui vicine e dispendiosa per la sanità pubblica. La gravità di queste conseguenze può allora giustificare un termine “forte” che, poi, viene pronunciato in una chiave scherzosa ad un attore, come Nino Frassica, al quale dobbiamo non poche ragioni di sorriso per la sua comicità sempre lontana da ogni volgarità.
Se poi una parola ritenuta un po’ “forte” può aiutare a combattere un pericolo realmente molto grave, possiamo riaprire il vocabolario e trovarvi espressioni come questa: “Sei scemo? Lo sai che ti voglio bene!”