Contro i pericoli della Rete puntare sulla media education

La tv e il web non sono solo spettacolo, comunicazione e divertimento ma anche condivisione, partecipazione e formazione. Recuperiamo i rapporti umani di fiducia educando all’uso dei media. Di Maria Elisa Scarcello

Negli ultimi decenni il ruolo dei mezzi di informazione e comunicazione è risultato cruciale nella trasformazione del Paese. Gli sviluppi dell’economia della comunicazione, la nascita di Internet, le concentrazioni in grandi gruppi multimediali e la ricerca di profitti sempre più alti, vanno tutti (o quasi?) non in direzione di un’informazione e comunicazione di qualità, orientata alla ricerca della precisione e contestualizzazione, bensì verso la crescita dell’infotainment e verso una pluralità di forme e stili narrativi.

Dall’utopia dell’informazione per tutti siamo passati all’utopia dell’informazione da parte di tutti. Ci troviamo in una società che tende ad informarsi sempre più da sola, in cui si moltiplicano i centri di produzione e distribuzione dell’informazione.

Con la digitalizzazione i canali televisivi si moltiplicano: i generi sono mescolati ad arte, l’entertainment si sovrappone all’informazione ed entrambi si intrecciano con la pubblicità e tutto viene incluso nella logica dello show business; proliferano i prodotti paragiornalistici, e internet, la grande Rete, prende definitivamente il predominio. Anche la funzione democratica del giornalismo, ovvero di quell’attività di raccolta e selezione delle notizie e delle opinioni, indirizzata alla totalità del pubblico, è sottoposta a cambiamenti: largo spazio, quindi, agli scandali o alle polemiche, poco o nessun dibattito sui temi di fondo. Tutte realtà, queste, che identificano importanti cambiamenti nell’offerta informativa e nelle modalità con le quali i cittadini si informano e formano le loro opinioni e i loro atteggiamenti.

Quali sono gli effetti di questa nuova dieta mediatica? Rispetto al passato siamo persone molto più informate, poiché l’informazione a disposizione di ognuno di noi è enorme, ma non abbiamo gli strumenti per gestirla, per elaborarla e spesso non capiamo neppure i meccanismi per farne una selezione ragionata, responsabile e consapevole. Approfondiamo solo ciò che più ci interessa, costruendoci una gerarchia personale dei contenuti a prescindere dall’oggettiva importanza degli avvenimenti e soprattutto dalla veridicità e qualità di ciò che viene veicolato.

Ognuno può sapere che cosa sta succedendo in questo momento, semplicemente collegandosi a un sito internet con il suo cellulare. Strumenti come i social media e i blog hanno raggiunto una diffusione tale da permettere a chiunque di esprimere le proprie opinioni, le proprie preferenze, e, addirittura essere veicolo di informazioni e notizie, a volte con largo anticipo rispetto ai media classici. Basta pensare all’ultimo tragico avvenimento dell’attentato di Parigi per renderci conto del ruolo determinante che i social media hanno avuto nel diffondere la notizia correlandola alle immagini.

La straordinaria potenza dei social network ha fatto si che questa orribile vicenda sia stata potuta essere analizzata da un altro punto di vista, ovvero quello delle persone che in quel momento si trovavano a lottare tra la vita e la morte. I social sicuramente hanno contribuito a far si di raggiungere una nuova consapevolezza, come nessuna altra fonte di informazione abbia mai potuto o voluto fare prima d’ora.

Facebook, twitter sono senza ombra di dubbio entrati a far parte delle nostra quotidianità già da tempo e come fonti d’informazione sono in grado di arrivare più rapidamente e in maniera più diretta al lettore; facendo leva sui loro punti di forza come l’interattività del sistema e la capacità di condivisione delle informazioni da parte di milioni di utenti.

Quindi informazione ovunque, in ogni momento, da qualsiasi fonte. Nel bene e nel male. Tutti questi strumenti hanno portato ad una ridefinizione del concetto stesso di comunicazione massmediale e nessuno, dal bambino fino all’anziano, può ritenersi estraneo da questo nuovo mondo, rivelatosi, però, anche una paradossale arma a doppio taglio, dimostrando così la sua potenza e la possibilità di dare voce a chiunque; con tutte le possibili conseguenze, quali: la delegittimazione di un mestiere come quello del giornalista; l’impoverimento dell’informazione: ossia la riduzione della qualità dei contenuti; l’aumento dei falsi in rete, i cosiddetti fake che circolano nel web e che possono trarre in inganno e distorcere la realtà dei fatti, fino alla completa rivisitazione dei rapporti fra le persone, tanto da cambiare abitudini e modi di pensare: diminuisce il senso critico, la consapevolezza, la capacità di discernimento delle persone-utenti e tutto ciò ha un notevole impatto sulla formazione delle opinioni.

L’esperienza delle reti telematiche, in cui tutti possono informare ed essere informati su tutto, è sicuramente un elemento fondamentale da non sottovalutare ma ha anche mostrato la necessità di figure di selezione e di mediazione. Infatti, anche le reti telematiche più potenti, come internet, se inondate da un flusso incontrollato di informazioni, possono diventare inservibili. Il problema torna, quindi, ad essere quello delle regole dell’informazione e comunicazione e delle professioni di mediazione.

Inoltre, è, comunque, necessario che si diffonda una conoscenza critica da parte degli utenti dei mass media sui meccanismi selettivi della produzione delle notizie e sulla inevitabile distinzione tra realtà, informazione e comunicazione. Spesso, infatti, l’informazione televisiva – basata sulla suggestione delle immagini, sulla sintesi, sul ritmo – ci restituisce un contenuto che interpretiamo più in modo emotivo che razionale; portando così alla netta prevalenza delle percezioni rispetto alla realtà, dell’emotività sulla razionalità, delle rappresentazioni rispetto ai numeri, ai fatti, all’evidenza. Oggi non si tratta più di una dipendenza da una dimensione vaga e aleatoria come la comunicazione: si tratta di una dipendenza da reti sociali, e c’è il pericolo che questa diventi la normale palestra di organizzazione del senso. E’ indispensabile contestare i meccanismi che rendono succubi e indifesi milioni di telespettatori-utenti, i quali non hanno strumenti per difendersi, perché nessuno li ha dati loro e perché molti addirittura sono stati convinti che non vi sia necessità alcuna di difendersi da bombardamenti così piacevoli.

Quanti sono in grado di districarsi in questo scenario? Sicuramente non lo sono le “vittime”più deboli, i bambini, che intrappolati nella grande Rete sembrano non distinguere più tra ambiente digitale e realtà e continuano a ingurgitare, inconsapevolmente, dosi massicce di messaggi che non possono decifrare. E così ci troviamo di fronte a casi paradossali ma purtroppo veri come quello menzionato dal Corriere della Sera del 7 novembre del 2015 in cui si racconta la storia di un bambino italiano di 3 anni che impaurito da un possibile castigo da parte dell’educatrice risponde preoccupato: “ Mi togli il wifi?”. Un aneddoto che rivela il mondo appena descritto. Con genitori compiacenti, e poco preparati ad affrontare una vita social, touch, on demand e always on nella quale sono immersi i loro figli. E’ corretto che i ragazzi abbiano lo spazio per partecipare al loro mondo e i genitori possono scegliere se avere un atteggiamento vigile, critico o indifferente; non dimenticando, però, che hanno un’enorme responsabilità educativa definita non solo eticamente e pedagogicamente ma anche giuridicamente.

E’ chiaro che la dieta mediatica influenza significativamente non solo la nostra quotidianità ma anche il rapporto più stretto con il senso più profondo delle cose e questa è una situazione che merita molta attenzione perché determina l’esercizio del senso critico delle persone, la loro capacità di discernimento e, non ultimo, il sapersi rapportare agli altri con fiducia e personalità: valori, questi, dimenticati e di cui, invece, abbiamo immenso bisogno, perché sono il cuore di ogni economia di mercato e il vero punto di partenza per lo sviluppo di ogni ambito della società.