Il lato oscuro dei social media: la tutela negli scenari di rischio.
Cresce il tempo trascorso sui social media ma non la “consapevolezza dei rischi”. Roberta Bruzzone, nota psicologa forense e criminologa investigativa ribadisce utili consigli per evitare che i rischi virtuali si trasformino in ripercussioni concrete sulla vita dell’utente.
(di Roberta Bruzzone Il Telespettatore, Anno 54° – n. 5/6/7 – Maggio/Giugno/Luglio 2017, pp. 13, 14)
L’ uso e l’abuso dei social network si sono ormai consolidati da diversi anni divenendo di fatto ormai una “abitudine” a cui non siamo più disposti a rinunciare e, nel bene e nel male, in grado di incidere profondamente anche sul nostro modo di comunicare e di agire. I dati non lasciano dubbi in merito. Il nuovo mondo digitale conta sempre più abitanti ora dopo ora. E anche noi non siamo da meno: il 60% degli italiani accede regolarmente a internet, e gli account attivi sui canali social “made in Italy” sono ad oggi circa 30 milioni (24 milioni accedono da dispositivi “mobile”). Ed il tempo che trascorriamo sui social media cresce di pari passo. Gli italiani sono in cima alle classifiche europee per tempo dedicato alla navigazione su internet, trascorrendo ben 6.7 ore al giorno sul WEB in media (tra mobile e desktop), di cui 2.5 ore dedicate esclusivamente all’utilizzo dei vari social media, Facebook in testa. Ma se allarghiamo lo sguardo oltreconfine scopriamo una realtà ben più vasta: la popolazione mondiale è ora di 7.2 miliardi di persone, e il numero di utenti internet attivi ha superato i 3 miliardi di utenti – erano 2.5 miliardi 12 mesi fa. Oggi di fatto il 42% dell’intera popolazione mondiale è online. Gli account attivi sui social media sono attualmente più di 2 miliardi. E non sono tutte brave persone com’è facile immaginare….ecco perché ritengo sia giunto il momento di affrontare anche il lato oscuro che si nasconde tra i vari utilizzatori di queste piattaforme di comunicazione ormai diffusissime, in grado di raggiungere chiunque, ovunque, in ogni momento. Indubbiamente è vero che i social media possono rappresentare una ghiotta e valida opportunità per molti di noi. Ma non dobbiamo mai perdere di vista la circostanza che è vero anche il contrario. E bisogna stare in guardia, perché i cosiddetti rischi virtuali possono generare ripercussioni negative sulla vita dell’utente molto reali e concrete. E la cronaca nera sempre più spesso ci racconta vicende che mostrano con quanta rapidità e facilità ciò che avviene sui social media può trasformarsi in una vera e propria scena del crimine. Quale protezione possibile oggi contro chi usa questo genere di sistemi contro di noi? Quali sono i principali rischi che si possono correre? A quale profilo di “potenziali vittime” apparteniamo? Quali tipologie di possibili predatori si nascondono dietro schermo e tastiera? E come possiamo difenderci e difendere le persone che ci stanno a cuore dagli haters, dai cyberstalkers, dai molestatori online, dai cyber-bulli, dai predatori sessuali, dai truffatori, etc.? Sono queste alcune delle domande che dobbiamo porre a noi stessi, ogni volta che accediamo ai nostri profili “social”, per imparare a trarre il meglio dai social media senza correre rischi inutili e pericolosi. E la parola chiave per imparare a difendersi anche su questo tipo di piattaforme online è senza dubbio “CONSAPEVOLEZZA”. Perché proprio la consapevolezza dei rischi diventa uno strumento indispensabile per sopravvivere nella giungla dei social media, popolata da varie tipologie di nuovi predatori e di nuove potenziali vittime, per evitare che un clic di troppo possa trasformarsi nell’ennesima tragedia che poteva essere evitata. Ogni giorno consegniamo in maniera assai generosa ai social media tutti i dettagli più intimi della nostra vita privata e lo facciamo con una inconsapevolezza e superficialità a dir poco sconcertante. Anche se molti di noi non se ne sono ancora accorti, ormai siamo inseriti all’interno di un “grande fratello” che non ha nulla da invidiare a quanto descriveva Orwell nel suo capolavoro “1984”. I social media oggi contano miliardi di utenti provenienti da ogni angolo del pianeta, di ogni età, ceto sociale, livello culturale: è un vero e proprio successo planetario. Si calcola che circa un terzo dei profili sui social media ad oggi esistenti siano in realtà dei falsi profili creati appositamente per perseguire scopi negativi, quando non espressamente di tipo criminale. E i numeri parlano chiaro: se si prendono in considerazione tutti i principali social media da Facebook a Twitter, passando per Instagram e arrivando fino ad Ask, oltre l’82% di ragazzi di età compresa tra i 12 e i 18 anni possiedono un cellulare attraverso cui si collegano a internet e ai loro profili sui social media. Ed ecco venire alla ribalta prepotentemente il lato oscuro di queste piattaforme di interconnessione che non risparmia nessuno. Secondo la Federconsumatori oggi sono oltre quattro adolescenti su 10 ad essere informati, diffamati e ingiuriati attraverso i social media e il 41% sarebbe vittima di comportamenti scorretti come la diffusione illecita di immagini private e il furto di identità. È chiaro che questo genere di rischio non è riconducibile esclusivamente alla rete ma principalmente al tipo di comportamenti a rischio che gli utenti manifestano attraverso la rete. Diciamo che oggi sulla rete, in particolare all’interno del proprio profilo sociale, la prudenza non è mai troppa e occorre anche in questo tipo di dimensione impiegare lo stesso tipo di cautele e di attenzioni che normalmente riserviamo alla nostra vita nel mondo reale. Per essere più chiari occorre fare molta attenzione a cosa si fa on-line, a che tipo di contenuti si mettono a disposizione di chi che sia e alle persone con cui parliamo mentre siamo on-line all’interno dei nostri profili social media. Così come nella vita reale non inizieremo a chiacchierare con un perfetto sconosciuto al bar rivelandogli i nostri segreti inconfessabili; sarebbe buona norma diventare più prudenti e riservati anche quando siamo davanti alla tastiera del nostro smartphone o del nostro computer. Taggare, fare un selfie, geolocalizzare sono tutti termini ormai molto diffusi e conosciuti ed entrati con consuetudine nel linguaggio comune ma che indubbiamente ci portano a fornire informazioni molto preziose in relazione a dove siamo, quando ci siamo, con chi siamo, e spesso, anche dove intendiamo andare. In altre parole proprio attraverso questo tipo di sistemi noi siamo sempre, costantemente rintracciabili e monitorabili; ogni sei minuti il nostro Internet provider di riferimento mappa tutte le nostre attività on-line. Dove siamo, chi stiamo chiamando, se stiamo navigando su internet e quale e-mail abbiamo ricevuto o inviato…e questo controllo avviene 225 volte generando un fiume di dati che di fatto contiene tutte le informazioni strategiche in relazione alla vita di ciascuno di noi. Facebook, in particolare, ad oggi è la più grande ed esauriente banca dati sulla vita delle persone e sono proprio queste stesse persone a inserire assai generosamente tutte le informazioni che il sistema richiede e ottiene senza alcuno sforzo e con la massima collaborazione da parte dell’utente. Relazioni, indirizzi, spostamenti, conversazioni, parentele. È tutto online, ampiamente disponibile per chi voglia approfittarne. Così la pensa Julian Assange. E non solo lui. Ed i rischi per la nostra privacy (e non solo) sono altissimi. Tutto quello che viene messo a disposizione all’interno della piattaforma dei vari social network li rimane per sempre.